Tra vita, pensiero e pratica teatrale L’esperienza dell’Odin Teatret di Barba è al centro di due volumi di recente pubblicazione. Franco Ungaro, profondo conoscitore del pensiero e del teatro del grande maestro, traccia una lucida analisi di quella che resta una straordinaria e unica esperienza culturale di Franco Ungaro
Eugenio Barba
Sappiamo tutti che il Salento ha dato le origini a due fra i più importanti protagonisti del teatro contemporaneo, Carmelo Bene di Campi Salentina e Eugenio Barba di Gallipoli, oppure di Brindisi come testimonia l’anagrafe comunale. La loro produzione letteraria e saggistica non è inferiore all’attività artistica di produzione di spettacoli; ne ho visti tanti di spettacoli ma ho letto e studiato tanti dei loro libri, che aprono squarci illuminanti per capire e interpretare gli spettacoli e la loro visione del mondo.
Bene e Barba sono due imprescindibili punti di riferimento per la cultura teatrale internazionale, davvero unici nel saper coniugare pensiero e pratica teatrale, nel fare della vita e dell’arte un unicum senza soluzione di continuità, il primo nutrendosi del pensiero filosofico contemporaneo, da Nietzsche a Derrida, il secondo addirittura fondando una nuova disciplina teorica, l’antropologia teatrale. La loro statura intellettuale e la radicata e indiscussa riconoscibilità internazionale fanno sì che testi critici, biografie e opere affollino ormai gli scaffali di biblioteche e videoteche pubbliche e private, spesso tradotti in numerose lingue straniere.
I cinque continenti del teatro (Edizioni di Pagina, Bari, 2017), scritto a quattro mani da Nicola Savarese ed Eugenio Barba, e Odino nelle terre del rimorso. Eugenio Barba e l’Odin Teatret in Salento e Sardegna 1973-1975 (Squilibri, Roma, 2017), di Vincenzo Santoro, sono gli ultimi e più recenti volumi pubblicati su Barba. Opere preziose soprattutto perché consentono di approfondire le innovazioni di linguaggio del grande regista, che sono anche innovazioni etiche, sociali e politiche, in un intreccio inestricabile di pensiero e pratica teatrale. Provare a elencare e analizzare i punti di contatto fra questi due poli vuol dire raccontare una storia originale e unica, il cui inizio è la fondazione, dapprima in Norvegia e poi a Holstebro, in Danimarca, di una solida ‘comunità teatrale’ che vede ancora oggi al proprio interno presenti e attivi alcuni dei suoi protagonisti originari, da Jan Fervslev a Iben Nagel Rasmussen, da Else Marie Laukvik a Tage Larsen. Non è perciò per nulla inutile e irrilevante sottolineare la dimensione comunitaria dell’Odin Teatret, non solo perché tutti sappiamo che il teatro nasce originariamente come modalità di incontro fra i cittadini nell’agorà e quindi come forma specifica di relazione fra le persone ma anche perché negli anni Sessanta e Settanta, ma direi anche prima e dopo, ogni modello e istanza di cambiamento sociale fa i conti con il bisogno di comunità, di utopia, di futuro. Vincenzo Santoro racconta con grande dovizia di riferimenti storici e teorici l’esperienza/esperimento del baratto culturale realizzato a Carpignano Salentino e illumina emblematicamente il modo in cui una comunità teatrale, quella dell’Odin Teatret, si relazionò con un’altra comunità.
Per cinque mesi, nel 1974, Eugenio Barba e i suoi attori si trasferirono nel piccolo centro salentino per preparare il loro nuovo spettacolo e avviarono un dialogo con i cittadini che si basava sullo scambio e sul dono reciproco di ciò che entrambi avevano più a cuore. I carpignanesi conoscevano bene il repertorio di canti, passi di danza e musiche tradizionali del Salento, mentre gli attori dell’Odin conoscevano bene tecniche attoriali in cui utilizzavano la voce, il canto, il corpo, la musica, l’acrobatica, la clownerie, alla loro maniera, esercitando l’arte dell’attore fuori dai teatri e agendo in spazi urbani inconsueti. Gli uni e gli altri barattarono cultura e identità a cielo aperto, per le strade, i vicoli, i giardini, le piazze di Carpignano.
Il libro di Vincenzo Santoro documenta tutto ciò con le splendide foto di Tony D’Urso, le testimonianze dei partecipanti e le immagini contenute nel video allegato, In cerca del teatro.
Barba aveva avviato un percorso teorico che lo spingerà a studiare le diverse tecniche e tradizioni dell’attore in diversi contesti culturali e sociali, ad avvicinare la ricerca sull’attore e le sue tradizioni alla ricerca sulle persone e le loro tradizioni culturali. L’antropologia teatrale, dirà Barba, è lo studio del comportamento scenico pre-espressivo che sta alla base dei differenti generi, stili, ruoli e delle tradizioni personali o collettive.
Succede così che nel 1980 fonda l’Ista (Scuola Internazionale di Antropologia Teatrale) e pubblica nel 1982, insieme a Nicola Savarese, L’arte segreta dell’attore, di cui I cinque continenti del teatro è, dopo ulteriori trentacinque anni di studio e ricerca, il sequel, ancora più ricco di foto e di immagini (da 700 a 1400), particolare per le dimensioni extra-large da atlante, per la commistione originale di testi e immagini, intrigante nell’accumulo di materiali (foto di scena e di luoghi teatrali, ma anche francobolli commemorativi, locandine, copertine di libri), citazioni, memorie e aneddoti. Un viaggio appassionato dentro le storie e le culture degli attori, dei teatri, dei drammaturghi, dei registi, dei produttori e di tutti coloro che con le loro azioni hanno costruito la tradizione, nel tempo cangiante, del teatro.
(1 – continua)
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