Salvatore Guglielmino, ex accademico, è una personalità poliedrica; ha ricoperto incarichi importanti nella vita pubblica e pubblicato scritti su vari argomenti.
La trama del suo primo romanzo, …ed il “sole” è risorto trionfante (Ed Albatros, 145 pp.) richiama alla mente ciò che avviene nella vita reale di molte persone che, da un momento all’altro, si vedono precipitare dalle stelle alle stalle, come suol dirsi, a causa della superficialità o incompetenza con cui affrontano i problemi che si vengono a creare, oppure perché, a volte, “si fa il passo più lungo della gamba”. E come recita un vecchio adagio: “Una madre sa mantenere dieci figli, mentre dieci figli non sanno mantenere una madre” ed è ciò che accade spesso nella società.
Nel testo ci sono diversi elementi di spicco, a cominciare dalla figura del protagonista maschile, Calisto, che, connotato da un certo carisma, riesce, con il suo carattere pragmatico e lungimirante, a raddrizzare tutte le circostanze negative della vita, da quelle economiche a quelle affettive. Ed è da sottolineare altresì che riesce a mantenere fino alla fine l’unità della famiglia.
È rimarchevole il modo pantomimico con cui Calisto viene gradualmente immesso nel campo degli affari di cui la “mammà” è indiscussa professionista. E che dà vita all’incidente propizio perché venga inserita la figura della seconda protagonista del romanzo: Adalgise. La giovane coppia, che nel frattempo ha coronato il proprio sogno d’amore, desidera una famiglia numerosa; ma purtroppo degli otto figli avuti velocemente soltanto la metà rimarrà nel nucleo familiare originario.
È di rilievo la teatralità con cui la coppia Belisario-Noham, andata in crisi per ragioni economiche, riprende il menage familiare attraverso un brevissimo ma emozionante e sintetico dialogo che riesce a far raccordare due mondi molto diversi fra loro: l’ebraico e il cristiano. Nella lunga diatriba appare, anche se velatamente, l’aspetto duale fra la popolazione del Nord, di norma privilegiata, e quella del Sud. Noham, infatti, si vanta di appartenere a una tribù che aveva avuto residenza al Nord del Paese e che aveva ottenuto dalla vita tutto ciò che aveva voluto. Nel dialogo, molto larvatamente, sembra serpeggiare anche l’odio razziale fra ebrei e cristiani, ma l’autore lo bypassa senza soffermarvisi.
La lettura conquista e avvince soprattutto quando ci si imbatte nella descrizione dell’incontro tra Litorufo e Liberty, che avviene in un aeroporto. Il piccolo siparietto che mettono in atto i due fanciulli strappa un genuino e generoso applauso a tutti i viaggiatori presenti nella hall dell’aeroporto. Un ultimo elemento di spicco è il personaggio di Giustina, la “piccolina” della grande famiglia di Calisto e Adalgise, che con il suo saper fare, fra l’ingenuo e il sostenuto, riesce ad essere il fil rouge in una matassa molto intricata che si appianerà, col suo decisivo aiuto, mediante l’uso di un profondo acume, dell’innato buon senso, dettato dalla sapienza di un cuore amorevole, e di tanta, tanta tolleranza verso i difetti dell’umanità. Il romanzo si legge tutto d’un fiato, con sequenze narrative che hanno un ritmo incalzante e ben si presterebbero ad un trattamento teatrale o cinematografico.
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