Di Sud non se ne parla più. Lo diceva già Pino Aprile qualche anno fa nel suo fortunato Terroni. Ma gli anni passano e di Sud si continua a tacere. Non se ne parla in Parlamento, non nei comizi pettoruti di Matteo Renzi o dei molti segretari di partito. Un Renzi che scappa da un appuntamento come la Fiera del Levante, per timore di dover parlare di temi che crede non lo riguardino. È una questione che ha tutte le caratteristiche di un deserto, da sfuggire e abbandonare perché difficoltoso da affrontare. Perciò Lino Patruno emette ne Il meglio Sud (Rubbettino, 2015, 305 pagine, 15 euro) un ennesimo grido disperato, dopo quelli affidati a Fuoco del Sud (2011) e Ricomincio da Sud (2012) e nel momento in cui decide di attraversare questo benedetto Sud, alla maniera in cui fece Mosè, quando si propose di portare gli Ebrei alla ricerca della Terra promessa. Quel deserto gli appare una tragedia demografica, perché il numero di anziani è pari a quello dei bambini con meno di un anno. È una tragedia sociale, perché ci sono e sempre più ci saranno meno lavoratori in grado di versare contributi per sostenere la spesa pensionistica. Una tragedia politica, perché se diminuisce la popolazione, diminuisce il numero della propria rappresentanza al Parlamento. Una conseguente tragedia economica, determinata dall’attuale disoccupazione giovanile nel Sud, un giovane su due non ha lavoro, con ridotta presenza dello Stato e con aziende che spariscono a vista d’occhio, oltre 300 al giorno, secondo i dati Istat.
A dire la verità di Sud si parla, anzi si sparla. L’economista Emanuele Felice, ad esempio, sostiene che i mali del Sud dipendano dalla sua classe dirigente, una visione che risveglia uno come Galli Della Loggia che pure col Sud non è mai stato tenero e gli fa correggere il tiro: è l’intera classe dirigente italiana ad aver prodotto i mali del Mezzogiorno. Mali che sono riassumibili secondo Patruno in uno spaventoso museo degli Orrori. Il libro ne censisce una ventina, che analizza e discute. Sono il Federalismo fiscale, che colpisce i più poveri. Il trasferimento di capitali alle Regioni senza perequare in partenza ciò che serve per il sistema viario, ferroviario, ospedaliero. L’assenza di un intervento che garantisca i servizi pubblici essenziali.
La disamina di Patruno continua con l’analisi delle infrastrutture, con la situazione ferroviaria. Cinque ore per passare da Roma a Bari, altrettante da Bari a Napoli, dodici da Bari a Reggio Calabria. I treni sono obsoleti, anche su quella tratta che pomposamente dicono servita dalla Freccia bianca, dove ci si aspettava da tempo i lavori per la Freccia rossa. Sui treni non c’è assistenza di alcun tipo. L’analisi delle infrastrutture passa quindi alla nota dolente del sistema stradale, sullo sconquasso della Salerno-Reggio Calabria, sulle crepe inquietanti nei viadotti della Napoli-Bari, sulla mai finita Taranto Cosenza. E se si volesse raggiungere Catania partendo da Bari? In treno sarebbe proibitivo. E in aereo? Bisogna raggiungere Roma e attendere la coincidenza. Se ne va un giorno. E la piattaforma logistica sul Mediterraneo quando potrà mai partire se il porto di Taranto aspetta un dragaggio che lo liberi da detriti che si sono depositati sui suoi fondali e tale che si passi dai 12 metri di profondità attuali ai sedici previsti?
Le accuse presentate da Patruno sono a questo punto accompagnate dall’analisi storica delle vicende legate alla diffusione della mafia in Italia. Si parte dall’Unità, quando il fenomeno comincia ad essere registrato in Sicilia. La mafia si dilata, attacca lentamente gli organismi dello Stato, al punto da contagiare uomini come Dell’Utri, uno dei fondatori di Forza Italia, uno colluso con le organizzazioni malavitose. In questo modo si arriva agli ultimi fenomeni di Roma-mafia capitale, mentre in provincia anche le processioni, come nel caso di Oppido Mamertina, fanno l’inchino ai capibastone. Una disamina sul Sud non può, ammette Patruno, non fare i conti con i propri mali. E questo delle mafie, anche se oggi assistiamo a una globalizzazione del fenomeno, è uno dei mali endemici del Mezzogiorno. Il peggio Sud. Un Sud che fa obbrobriosi autogol che qui si elencano con analisi aritmetica. Il gigantesco ospedale di Gravina mai entrato in funzione; la metropolitana leggera Cosenza-Rende, bloccata per faide politiche interne alla regione; abusivismo edilizio sui terreni demaniali di Vibo Valentia; le scarse royalties provenienti dal petrolio lucano; vari ecomostri sparsi tra Campania e Sicilia; fiumi di denari spesi per i rifiuti in Calabria; l’abbandono di Pompei e molto altro…
Ma esiste un Sud migliore? Un Sud non inficiato dalla delinquenza? Un Sud produttivo? L’analisi di Patruno si chiude con un elenco di progetti positivi e con un elenco di nomi e di organizzazioni che fanno del Sud un paese che opera, pensa, si difende. La punta più alta è costituita dal riconoscimento di Matera capitale europea della cultura per il 2019.
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