Attraverso la ricostruzione dell’opera e delle attività di Marti si fa luce sulla storia culturale del Salento e dei suoi personaggi e sul loro ruolo in Italia di Giuseppe Orlando D’Urso
Parlando di Victor Hugo, Paul Claudel lo paragonava ad un vento impetuoso, essendosi egli immerso in tutti i movimenti letterari, sociali, politici, religiosi del suo tempo, entrandovi con irruenza e stravolgendoli. In Terra d’Otranto – ma non solo – una figura parimenti dinamica, dirompente, agitatrice, stimolatrice è stata quella di Pietro Marti, nativo di Ruffano, al quale Ermanno Inguscio – anch’egli ruffanese – ormai da anni si dedica studiandone la vita, le opere, l’impegno civico e proponendone, a più riprese e in varie riviste, seminari, incontri culturali, le diverse sfaccettature. A motivarlo non è una limitata visione provinciale e campanilistica (ben nota è tanta altra sua produzione saggistica aperta su altri orizzonti) quanto la consapevolezza di una necessaria conoscenza di un uomo che per cinquant’anni ha condizionato una maniera di fare giornalismo, ha mostrato come impostare le polemiche culturali, ha difeso su basi colte ed erudite la cultura salentina dai suoi detrattori.
Da queste premesse nasce il volume di Ermanno Inguscio, Pietro Marti (1863-1933). Cultura e Giornalismo in Terra d’Otranto (a cura di Marcello Gaballo, Fondazione Terra d’Otranto, Nardò, 2013). La monografia raccoglie una lunga attività di ricerca storica e documentale e si presenta come un corpo unico ma non conclusivo perché, come lo stesso autore sottolinea, “traccia spunti di ulteriore approfondimento per gli studiosi che se ne vogliano occupare”.
Il volume non poteva non essere prefato dall’attuale direttore della Biblioteca Provinciale “Nicola Bernardini” di Lecce, Alessandro Laporta (avendo Pietro Marti ricoperto, tra altri, anche il ruolo di direttore di quella Biblioteca dal 1929 al 1933) che riconosce a Ermanno Inguscio “il coraggio nell’intraprendere le ricerche e la pazienza nel tentativo di ricostruire un ritratto quanto più possibile fedele all’originale”.
Divisa in quattro parti principali, la monografia ha titoli che introducono il lettore nella poliedricità di Pietro Marti: uomo di cultura, fondatore di giornali, conferenziere, polemista, storico erudito e biografo, direttore del periodico La Voce del Salento, cultore d’arte e archeologia; sullo sfondo si muove la realtà salentina.
Fermi restando l’alto tasso di analfabetismo e il distacco abissale tra popolo contadino e ceti medio alti, nonché degli ‘intellettuali’ incapaci di mediare tra la realtà sognata e quella concreta, pur tuttavia nell’ultimo ventennio del 1800, nel Salento, si registra una forte presenza del fenomeno giornalistico e di pubblicazioni letterarie. Si è a ridosso dell’unificazione, che suscita entusiasmi, che stimola la riemersione di storie patrie e di biografie per una costruzione della propria cultura e della propria civiltà; ma tutto ciò non comportava un rinchiudersi nel proprio orticello, perché le influenze esterne non mancavano di farsi sentire e di penetrare nel tessuto salentino e il carduccianesimo (emissario Pietro Siciliani), così come la cultura che diffondeva l’Università di Napoli, erano entrati nella vita letteraria salentina; nel contempo non erano assenti influssi provenienti d’oltralpe. Inguscio evidenzia come a questi fervori seguì un’implosione, una chiusura in se stessi, la scelta di prediligere studi storici locali eruditi, mortificando la letteratura. Pietro Marti si oppone con veemenza, forte spirito polemico, ma anche su solide basi documentate ed erudite, alla disattenzione e alla superficialità che il mondo accademico riserva all’area salentina, intervenendo, con articoli, conferenze, saggi a smuovere il Salento dal languore letterario in cui versava; a polemizzare con l’Enciclopedia Treccani, scomodando perfino Giovanni Gentile, per quella che di fatto era una emarginazione di personalità rilevanti della cultura pugliese e salentina; rimarcando l’errata modalità di annessione del Meridione al Regno d’Italia; rivalutando la figura di Liborio Romano; evidenziando la personalità e il ruolo di Maria d’Enghien; portando alla ribalta e all’attenzione poeti, scrittori, uomini di scienza obliterati e considerati di second’ordine.
L’elenco dei tanti nomi salentini citati nel libro, nei confronti dei quali il Marti reclamava maggiore attenzione, se da un lato forniscono al lettore la portata di cosa aveva prodotto il Salento con le sue “ricchezze immateriali intellettuali ed artistiche”, dall’altro inducono quel lettore a chiedersi le ragioni per le quali su quei personaggi è continuato a mantenersi quel velo di silenzio, che solo in questi ultimi due decenni si è in qualche misura sollevato.
Se oggi è possibile registrare un coinvolgimento più ampio del territorio che scopre le proprie radici e il ruolo che ha avuto il Salento nelle dinamiche storiche e culturali nazionali, lo si deve proprio alla capacità di veicolare questi temi da parte dei cosiddetti ‘mediatori culturali’, ‘divulgatori culturali’, con linguaggi e con strumenti più accessibili ai ‘non letterati’.
Pietro Marti comprese l’importanza della stampa periodica, della sua possibilità di penetrazione nei diversi strati sociali, e ne fece uno degli strumenti principali per “favorire con ogni mezzo il recupero delle tradizioni storiche, artistiche e letterarie della sua terra, la Puglia”; perché ai tanti personaggi, sia del passato sia del presente “venisse riconosciuto un posto di spicco nella considerazione popolare e degli addetti ai lavori in riferimento alla rinascita artistico-culturale del territorio salentino”.
A Ermanno Inguscio il merito di aver proposto al grande pubblico la figura di Pietro Marti.
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