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Andy Warhol
L’intramontabile guru della Pop Art
Continua l’interesse per l’artista americano che nelle sue immagini seriali celebrava la banalità del vivere e del morire.
Due interessanti mostre dedicate all’artista sono in corso a Roma (sino al 18 settembre) e a Napoli (sino al 20 luglio)
di Pietro Marino
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Andy Warhol. Red Elvis. 1962

Continua in Italia la fascinazione per Warhol, il sommo guru della Pop Art. Mostre si sono succedute lungo lo Stivale per tutta la lunga stagione 2013-2014. Ce ne sono ancora in corso due, di diverso interesse e taglio storico, ma entrambe importanti. A Roma è in corso, in Palazzo Cipolla (sino al 18 settembre), una già presentata con grande affluenza di pubblico a Milano, in Palazzo Reale. Presenta 160 opere provenienti dalla Fondazione di Peter Brant, grande collezionista americano. A Napoli, nella sede del PAN (il Palazzo comunale delle Arti) è visibile sino al 20 luglio un’altra ampia mostra, dal titolo “Vetrine”, che punta sul rapporto fra Warhol e la città partenopea negli anni Ottanta.

Non mancano nelle due rassegne le Marilyn, le Coca Cola, le Soup Campbell, i Flowers… Le icone che hanno segnato il successo planetario del profeta della “società dei simulacri”, o se si vuole, della banalità del vivere (e del morire). Ma nella mostra di Roma risalta subito la “Marilyn sparata”: una di quattro tele con la celebre immagine dell’attrice che erano accatastate nella Factory di Andy a New York contro le quali una donna, Dorothy Podber, che si era intrufolata con un pretesto, sparò un colpo di pistola. Produsse un foro alla fronte, che appariva ancora nella tela che l’intraprendente collezionista acquistò per 5.000 dollari (Blue Shot Marilyn, 1964). “Mi piace così”, disse l’autore “come se avesse una macchia o un brufolo”.

Nel 1968 fu Warhol stesso ad essere ferito al ventre con un colpo di pistola da Valerie Solanas. Durante la convalescenza conobbe Peter Brant che già possedeva suoi pezzi oggi pregiati come il Red Elvis del 1962 (grande tela serigrafica col volto di Elvis Presley moltiplicato su fondo rosso). Nacque un rapporto di amicizia e di affari da cui discese la realizzazione, nel 1972, della serie dei Mao, che lo rilanciò sul mercato dopo un periodo di depressione. Così si fa intrigante assai anche la storia di Brant, rivissuta nella sua intervista con Tony Shafrazy (grande mercante di New York) nel rutilante catalogo – oggetto d’arte bilingue edito da 24Ore Cultura.

Per la mostra nel PAN, curata da Achille Bonito Oliva, risalta l’incontro storico che avvenne a Napoli tra “l’americano” Warhol e Joseph Beuys, l’artista tedesco massimo esponente dell’avanguardia europea, nel maggio del 1980. Fu propiziato da Lucio Amelio, noto gallerista-collezionista – promotore culturale nel Mezzogiorno d’Italia. Ma in quello stesso anno, a novembre, un tremendo terremoto colpì l’Irpinia e la Campania. All’evento fu dedicata due anni dopo una mostra (“Terrae Motus”) per la quale Warhol eseguì un’opera rimasta famosa: l’ingrandimento – trasformato in readymade di eloquente drammaticità – della prima pagina del “Mattino” (il maggiore quotidiano di Napoli) del 26 novembre 1980 che invocava soccorsi col titolo cubitale “Fate presto”. È invece del 1985 la serie di dipinti e serigrafie “Vesuvius”: presenta in diverse versioni cromatiche il disegno vibrante del vulcano in eruzione. Da allora l’immagine è stata assunta ad icona moderna della città che Warhol diceva di amare perché “gli ricordava New York” (“per i tanti travestiti e per i rifiuti per strada”).

Questa capacità di Andy Warhol di far assurgere ad evidenza mitica le immagini del consumo e della cronaca è il segno di una genialità la cui ombra lunga trascende il paradosso della cinica ricerca di superficialità stereotipata. Per un gioco del Destino o del Caso, era L’Ultima Cena di Leonardo il tema su cui aveva lavorato prima di morire nel 1987 (a 59 anni, per una complicazione durante una banale operazione alla cistifellea). L’intero ciclo è presentato a Roma nella sala finale, dominata da una spettacolare rielaborazione su tela, lunga più di 10 metri. Con giusto colpo di teatro la mostra vi accosta il suo ultimo, tragicamente spiritato, Autoritratto in rosso su fondo nero del 1986. Nel suo Diario aveva scritto: “Alla fine dei miei giorni, quando morirò, non voglio lasciare scarti e non voglio essere uno scarto”.

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