Critici come Segre e Ferroni avevano accolto con entusiasmo il suo precedente romanzo di Giacomo Annibaldis
Il canto della balena di Corrado Sobrero,
pubblicato come e-book nel 2012,
è divenuto cartaceo per le Edizioni Tea
nel gennaio 2014
Macondo non è mai sparita dalle mappe letterarie: la città dei Buendìa e dei Segundo, così felicemente impregnata di realismo magico, ha cullato – e culla – ancora i sogni di alcuni giovani narratori.
È il caso di Corrado Sobrero, scrittore nato a Torino nel Sessantotto, anno marchiato dalle utopie, formatosi in Salento (dove suo padre Alberto, linguista, ha insegnato all’Università di Lecce), vissuto a Milano e prematuramente scomparso nel 2012. Difatti, già nel 2006, aveva pubblicato da Manni il suo romanzo Nevica sull’Isola di Baro, una storia che era stata salutata con entusiasmo da critici come Giulio Ferroni e Cesare Segre. Il primo ne aveva parlato come di “favola e racconto filosofico tra sorprese e paradossi, ironia e leggerezza… Una piccola Macondo votata alla felicità”; il secondo, come di “un romanzo fuori dal comune, con una notevolissima capacità di affabulazione”.
A quel mondo latino-americano, in cui la modernità sta per irrompere e travolgere una incantata sospensione nel tempo, è tornato Corrado Sobrero con il romanzo Il canto della balena (Tea ed., pp. 230, euro 12). Con questo manoscritto l’autore aveva partecipato nel 2011, l’anno prima della morte, al torneo letterario “Io Scrittore”, giungendo tra i finalisti.
E questa nuova Macondo (dove non mancano personaggi con i nomi di Buendía e di Segundo) non può che sorgere in una ottocentesca Colombia, sulle coste del Pacifico: difatti le cittadine citate Porsuerte, Calí, Manzales, rimandano alle odierne Buonaventura, Calí, Manizales… Qui vive un contadino, León, con la sua numerosa famiglia; è uno dei tanti mezzadri del signore erede dei conquistadores, arroccato nel suo palazzo sulla collina irto come “un capezzolo inturgidito dal freddo”. León è contadino ma anche pescatore; e una notte, mentre è sul mare nero di seppia con la sua barchetta, assiste alla portentosa nascita di una nuova isola…
Parte da questo miracolo della natura una trama di sopravvivenza e portento, messa in atto con le strategie dalla ingegnosa figliola Himelda, l’unica che ha imparato a leggere e scrivere: quell’isola, sorta dal nulla e che presto si chiamerà La Balena per la sua conformazione, è destinata a portare una minuscola felicità agli abitanti delle contrade vicine. Himelda, così brava a leggere i segni e i desideri della gente, la offrirà come rifugio, un luogo mutevole che si adatta alle singole necessità. Così l’isola canterà per tutto il tempo in cui Pepillo, un gigante che non parlava mai, ma in segreto ogni giovedì andava a Porsuerte per esibirsi come cantante; pregherà, invece, in un costante brusìo, quando la devota Celimanna, con altre quattro donne, vi passerà dei giorni in religioso ritiro; o vedrà fluttuare nell’aria Pirro Alonso, il fattore che qualcuno giura di aver visto sollevato dal vento come un aquilone; l’isola russerà, quando approderà il gruppo di lavoratori capitanati da Urbano Segundo, alla conquista del giorno settimanale di riposo…
Tutto questo mentre il Futuro sta arrivando. Precisamente il 17 febbraio 1892, allorché su quelle terre arriva il primo treno della nuova ferrovia (un mostro che nessuno conosceva, se non per sentito dire); e poco più sopra, a Panama, i due oceani mescoleranno le loro acque grazie a un canale costruito dall’uomo. Verrà il Futuro, e avrà gli occhi di un nascituro: uno azzurro come il mare e uno marrone come la terra.
Con uno stile reiterativo, affabulatorio e incline all’immaginifico (tra sogni premonitori e dicerie popolari), Corrado Sobrero ha edificato un’altra isola, destinata, come quella di Baro, alla felicità. Ma questa volta l’isola si inabisserà come una balena: perché i desideri della povera gente sono troppo rivoluzionari e il potere non può permettere che vengano esauditi.
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