Negli anni ’50 tra Puglia, Basilicata e Molise vaste aree paludose furono trasformate in terreni fertili.
La capacità dei tecnici, il duro lavoro dei contadini e un disegno politico lungimirante alla base del “miracolo” di Giuseppe Mauro Ferro
Montescaglioso (Matera). Contadini montesi, 1949
Sono figlio di uno delle centinaia di tecnici agricoli che furono impegnati, nei primi anni ’50, nell’attività di riforma fondiaria.
Mio padre, l’agronomo Antonio Ferro, cominciò giovanissimo ad operare, alle dipendenze dell’Ente di Riforma Fondiaria di Puglia, Basilicata e Molise, nella zona di Policoro, in quella vasta pianura alluvionale, ora magnifica, che si estende da Taranto alla Calabria, protetta a nord dalla corona terminale ionica degli Appennini. Oggi sono divenuti terreni fertilissimi, tutti irrigati, e in gran parte capaci di colture più precoci di quelle siciliane. Ma allora erano diffusamente malarici, paludosi d’inverno, aridi d’estate, solo estensivi latifondi granari, tanto che i paesi erano arroccati sulle colline, da Ginosa a Mottola, ecc.
Qui vale la pena menzionare i ricordi di mio padre: nei più di 6.000 ettari dei baroni Berlingeri, appena mietuto il grano e prima di autorizzare la gente ad andarci a spigolare, venivano fatte passare orde di tacchini!
Gli interventi furono giganteschi: dighe per regimare le acque a monte, bonifica idraulica e impianti irrigui collettivi a valle, costruzione della rete degli appoderamenti, dalle strade in terra stabilizzata (così valide che le tecniche e i laboratori necessari furono anche esportati in Persia, ecc.) alle case, alle borgate di servizio (scuole, centro medico, Chiesa, uffici, negozi). Mio padre ricordava che la zona era così povera, anche di popolazione, che per occupare questi nuovi poderi fu necessario importare famiglie dall’interno della Basilicata. Immaginate questa scena: dopo la riunione in piazza in cui il Ministro Fanfani distribuì gli attestati di proprietà agli assegnatari, una donna anziana chiese a papà di far portare le donne presenti a vedere il mare (sic!). Caricate su alcuni Leoncini (autocarri attrezzati con panche per il trasporto persone) e arrivate al mare, espressero la loro emozione con questo gesto, cominciato dalla donna più anziana: senza badare ai loro costumi caratteristici, sollevarono leggermente la veste ed entrarono nell’acqua, vi intinsero la mano e fecero il segno della croce.
Dopo alcuni anni a Policoro, papà fu nominato Direttore del Centro di Colonizzazione di Gaudiano, nella valle dell’Ofanto. Anche là i latifondisti erano costretti dalla malaria ad ingaggiare personale in più, per compensare le falcidie. Erano indimenticabili le torme dei mietitori e, prima, dei raccoglitori delle fave, che dormivano per terra, sui marciapiedi di Lavello, avvolti nei loro tabarri.
Mentre la nuova diga del Rendina regimava le acque, per l’inverno e per l’estate, anche là veniva costruita la rete di strade, di case, di borgate rurali, mentre nel campo dimostrativo comparivano le fragole e persino gli asparagi e il centro avicolo distribuiva pulcini.
Oggi la valle dell’Ofanto è tutta a pescheti, tendoni di uva e oliveti intensivi.
Dopo alcuni anni a Gaudiano, per mio padre arrivò il trasferimento a Gravina di Puglia (Centro di Colonizzazione di Dolcecanto), poi la Direzione provinciale, prima di Bari e poi di Lecce con l’interim di Brindisi.
La fase della trasformazione si era evoluta: dalle cooperative di servizi collettivi e dalle mutue bestiame si passò a sviluppare cooperative di primo grado specializzate: oleifici, cantine sociali, cooperative ortoflorofrutticole e poi anche consorzi di cooperative: centrale del vino, centrale dell’olio di oliva, consorzio ortofrutticolo, sviluppo delle serre e del mercato dei fiori.
Indimenticabile fu la visita dell’Ambasciatore degli Stati Uniti, il prof. Gardner, accompagnato dalla moglie. Fu spiegato loro che l’Arneo era tanto pietroso che all’inizio era stato incluso fra le zone di riforma solo per un’insurrezione popolare; poi però gli appoderamenti, che sembravano destinati al fallimento, diventarono fonte di grande ricchezza, grazie ad estesi impianti irrigui collettivi che rendevano produttivi quei terreni superficialissimi, ma per ciò stesso fonti di colture precoci e pregiate. Mentre sotto i loro occhi c’era l’esteso biancheggiare di serre di fiori in tutta la valle di Rodegaleto, le figlie di un assegnatario portarono mazzi di gladioli e di rose bellissime per loro e per la scorta e la signora si commosse profondamente.
Caro papà, quando moristi, un Senatore commentò: “È un’epoca che è finita”.
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