Kant e Marx ne avevano intuito la portata di Laura Tundo Ferente
Ritornare, dopo un lungo intervallo temporale, su un lavoro teorico, una riflessione filosofica, un’analisi scientifica è sempre un’impresa impegnativa, una sfida con se stessi, e Maria Rosaria Manieri ha voluto cimentarsi con questa sfida, quasi a ricomporre un legame con l’Università e con la Filosofia morale, dopo anni di assenza, che l’hanno vista per cinque legislature Senatrice della Repubblica.
La sfida in questione si svolge intorno a un volume di filosofia il cui oggetto di ricerca è la categoria di fraternità, della quale, come dice il sottotitolo, vuole “rileggere” la valenza di “idea civile” capace di cambiare il mondo. Si circoscrive e si definisce perciò il terreno dell’esplorazione filosofica interessata a confrontarsi, in particolare, con le potenzialità di cambiamento politico che questa categoria racchiude. E una motivazione “pratica”, che funziona da stimolo etico-politico alla ricerca, la coglie Giuseppe Vacca nella Prefazione: “La crisi della democrazia di cui soffre il mondo origina dallo smarrimento del principio di fraternità. Attraverso la rivisitazione del pensiero politico moderno questo saggio contiene la proposta di recuperare tale principio al pensiero laico e repubblicano del nostro tempo”.
E se è ampiamente nota la connotazione “religiosa” della fraternità, presente nelle Sacre Scritture fin dal racconto mitico-simbolico del Genesi, dove emerge su tutto il suo tasso di ambivalenza (il fratricidio di Caino), il testo chiarisce come sia il cristianesimo che universalizza l’idea di “amore fraterno” legandola a quella di “prossimo”; e come, interrogandosi su chi debba essere considerato prossimo – il fratello nella fede, il connazionale, il giusto, l’altro in generale? –, il cristianesimo giunga a ridefinirne i contorni e l’estensione, a superare il ristretto riferimento della cultura ebraica al prossimo come fratello/vicino/alleato, sporgendosi verso l’altro che soffre, che è nel bisogno.
Il cristianesimo rinnova dunque profondamente il senso del concetto di fraternità, lo lega intimamente al cuore del messaggio evangelico, l’amore – verso lo sconosciuto, il nemico, il ripugnante (lo storpio, il lebbroso). Con questi caratteri, il cristianesimo consegna alla modernità una categoria etica nuova e incisiva; un lascito che viene raccolto sul piano teorico dai filosofi più attenti all’analisi delle relazioni etiche, sociali e politiche, e sul piano della prassi dalla Rivoluzione francese, in una fase storica fra le più complesse per capacità critiche e propositive.
La Rivoluzione assume infatti, la fraternité nel suo motto, nella sua devise, mentre sorge la società secolarizzata, laica. Pur nel momento in cui un modello organico di società stabile nei suoi valori e nelle sue gerarchie, tenuto insieme dalla forza integratrice della religione, si può considerare finito, le categorie di liberté ed egalité non sembrano in grado di esaurire l’arco dei bisogni politici, e appare necessario invocare anche la fraternité.
Cosa aveva il “principio fraterno” che mancava ai primi due? A quali idee-valore fondative di una società nuova rinviava?
Si può dire che avesse anzitutto una forza di natura morale, forza unitivo-affettiva, di coesione fra uomini che si riconoscono fratelli, di portata sovra culturale e universalmente umana. E assumendo il principio fraterno, la Rivoluzione tentava di trasferire quella forza e l’eccedenza di senso morale che quel principio conteneva sul terreno sociale e politico, sull’unità della società. Era il legame intrinseco all’appartenenza alla medesima specie che veniva valorizzato, mentre si ambiva a pianificarne razionalmente la trasformazione in una virtù politica per la società repubblicana e democratica.
Come ben documenta il testo con riferimenti puntuali, è I. Kant che si fa interprete di questa valorizzazione teorica, ed è la riflessione kantiana degli anni della maturità – gli anni finali del ’700 dedicati agli scritti sulla Storia, sul Diritto, sulla Pace, sul Cosmopolitismo – che ci restituisce lo spessore etico del principio fraterno associandolo al dovere. Solo col tempo si è compreso come questo nuovo spessore rappresentasse il salto di qualità che l’età moderna fa compiere alla categoria di fraternità, ridisegnandone il perimetro.
È poi a Marx e alla sua visione del mondo che va l’attenzione conclusiva di Maria Rosaria Manieri, nel rammarico per la marginalizzazione e per il contrappasso che subiscono oggi i suoi scritti rispetto ai decenni centrali del ’900. Negli scritti marxiani si cercherà invano la definizione della “società dei fratelli”; l’approccio materialistico non può ignorare l’antagonismo sociale, le diseguaglianze, il conflitto degli interessi; non può illudersi sulla effettività dell’universalismo dei diritti garantiti dallo Stato né smettere di denunciare l’alienazione di un modello di società individualistico e concorrenziale; più facile trovarvi quello che una società di fratelli non è o non può essere: non un ideale astratto né un sentimento edificante, né una canonizzazione del mondo in vista di una sua santificazione. La fraternità, per il movimento comunista, emerge come il legame speciale, lo scopo che esso persegue.
Fra le molte possibili, un’analogia non poteva sfuggire fra questa idea di fraternità e alcuni passaggi particolarmente significativi di alcuni discorsi di Nelson Mandela – straordinaria figura di uomo politico capace di produrre una svolta epocale in un paese, il Sudafrica, socialmente lacerato dal rigido sistema di apartheid. La sua recente scomparsa ha riportato all’attenzione le sue parole: “Nessuno è nato schiavo né signore, né per vivere in miseria, ma tutti siamo nati per essere fratelli”.
Maria Rosaria Manieri, Fraternità. Rilettura civile di un’idea che può cambiare il mondo, Marsilio, Venezia 2013, pp. 156, euro. 15,00.
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