nella capitale del Polesine L’area, abitata da Veneti, Etruschi e Romani, fu centro commerciale fiorente e punto di riferimento per i Greci.
Dominio degli Estensi per tre secoli e poi della Serenissima Repubblica di Venezia.
I musei e i monumenti da non perdere di Dario C. Nicoli
Rovigo. Torre Donà e Torre Mozza,
resti del Castello.
Foto di Dario C. Nicoli
Rovigo, “la terra il cui produr di rose le dié piacevol nome in greche voci”. Forse è solo una licenza poetica, ma questa immagine che l’Ariosto richiama nell’Orlando furioso piace molto ai rodigini che amano far derivare dalla rosa il nome antico della loro città ultramillenaria. Rovigo è capoluogo del Polesine, una striscia di terra lunga oltre 160 chilometri e stretta fra l’Adige e il Po, che nel punto più stretto ne distano appena 11. Non offre grandi bellezze, ma ha una sua dignità storico-monumentale a partire dai resti del Castello, costruito intorno al Mille dal vescovo di Adria per ripararsi dalle invasioni degli Ungari e che vanta un mastio (la torre Donà) alto 66 metri e considerato una delle torri difensive più alte d’Europa. Il suo territorio, abitato da Veneti, Etruschi e Romani, fu centro commerciale fiorente e punto di riferimento per i Greci. Il Museo Nazionale Etrusco di Adria, situato a 20 chilometri dal capoluogo verso est, offre una ricca testimonianza di oggetti preziosi e vasi in ceramica attica che, da soli, meritano un viaggio per una visita di almeno mezza giornata. Parimenti meritevole di essere visitato è il Museo Nazionale di Fratta (12 chilometri a sud), dove si incrociavano i prodotti dell’artigianato locale con le ambre provenienti dal Nord Europa. Per via fluviale le merci raggiungevano quindi i porti di Adria prima e di Spina poi.
Ancora un piccolo tuffo nella storia per dire di Rovigo estense per tre secoli, poi dominio della Serenissima Repubblica di Venezia. Rovigo che ospita nel 1468 con grande sfarzo Federico III in viaggio per Roma, dove sarà incoronato imperatore; Rovigo che il 16 luglio 1866 accoglie Vittorio Emanuele II, re di un’Italia liberata dal dominio austriaco da appena una settimana.
I simboli di questa storia segnano le tappe del visitatore, che entrando da ovest incontra prima i resti del Castello, poi si inoltra in un Corso del Popolo ristrutturato da poco e che copre l’ex alveo dell’Adigetto, il fiume che divideva in due la città. Sulla destra il Duomo di Santo Stefano, concattedrale incompiuta; sulla sinistra il Palazzo Roverella, del ’500, che ora ospita la Pinacoteca dei Concordi e annualmente una prestigiosa mostra d’arte. Nella Piazza Grande il monumento a Vittorio Emanuele e la Colonna di San Marco, eretta in onore della Serenissima Repubblica di Venezia, e, ancora visibili, i resti del Palazzo Marchionale Ferrarese. Nella piazza accanto, in direzione est, un prezioso monumento a Garibaldi, che si voleva destinato a Roma, l’antica chiesa di San Francesco e per finire, sulla sinistra, il tempio dedicato alla Beata Vergine del Soccorso. Si tratta di una pregevole costruzione a pianta ottagonale eretta nel XVI secolo su progetto del bassanese Francesco Zamberlan, affiancata da un campanile del Longhena. Le pareti interne della chiesa sono completamente tappezzate da dipinti dei più famosi pittori veneti, raffiguranti i podestà veneziani che governarono la città fino al 1660. Infine, ma non ultimo per importanza, merita attenzione il Museo dei Grandi Fiumi, ricavato nell’antico Monastero Olivetano di San Bortolo, a sud della città. È ricco di reperti che raccontano la storia di questa provincia tormentata da invasioni e alluvioni, ma che ora si è brillantemente affrancata. E che, per l’efficienza delle sue infrastrutture, si collega in meno di un’ora d’auto con gli aeroporti di Verona, Bologna e Venezia, è a un tiro di schioppo da Padova, dove non può mancare una visita alla Cappella di Giotto, e da Ferrara, città che l’Unesco ha dichiarato “Patrimonio dell’Umanità”.
La gastronomia offre piatti semplici ma gradevoli al palato: dalla minestra di fagioli, allo stoccafisso (che nel Veneto si chiama “baccalà” contrariamente al resto dell’Italia), pasta sfoglia fatta in casa, fagioli al sugo (“in potacìn”), somarino in umido e diverse specie di salumi. “Il Dio della gastronomia non ha attraversato il Polesine”, commenta causticamente il gastronomo Edoardo Raspelli, ma va detto che anche in questa provincia qualche locale merita un apprezzamento che la “Confraternita del bavarolo” (del bavaglino) sta cercando di valorizzare. Sia nell’Alto Polesine, ai confini con le province di Verona e di Mantova, sia nel Medio, fra Il Padovano e il Ferrarese, sia nel Basso, dove non può mancare una visita al Delta del Po, una piccola Camargue che riserva scorci naturalistici di grande effetto in qualsiasi stagione dell’anno.
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