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Cultura
Bologna
“La dotta”, “La grassa”, “La rossa”
La sua università è una delle più antiche e prestigiose del mondo; anche Dante e Petrarca furono tra i suoi studenti. E a renderla viva e cosmopolita contribuiscono gli 80.000 studenti che la frequentano oggi. Al fascino della storia si aggiunge quello di una gastronomia strepitosa, a partire dalle mitiche tagliatelle di Dario C. Nicoli
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Bologna vista dalla Torre degli Asinelli. L'arteria principale che si individua è la Strada Maggiore verso Ravenna. Tutte le strade della Bologna medievale si dipartono dalle Due Torri. Foto di Dario C. Nicoli

      La “Dotta” perché ospita la più antica università del mondo occidentale; la “Grassa” perché ama la buona cucina; “Turrita” perché nel Medioevo contava quasi 180 torri gentilizie; la “Rossa” per i riflessi dei mattoni con i quali erano stati costruiti torri e palazzi. Questa è Bologna: 300.000 abitanti nel cuore della città, altrettanti nell’hinterland nel quale i bolognesi doc si sono lentamente trasferiti, a partire dagli anni Settanta del secolo scorso, per sfuggire alla morsa dei prezzi esorbitanti richiesti dai palazzinari del centro.

      Bologna. Crocevia del Nord-Est, nodo stradale e ferroviario strategico per le comunicazioni dell’intero paese. Città che innamora, sempre viva di giorno e di notte con le sue osterie e i bomboloni alla Nutella caldi fino a mattina inoltrata. La si può visitare in un giorno, ma per dire di averla vista un pochino occorre almeno un weekend. Altrimenti, le uniche immagini che restano nella memoria del frettoloso turista sono le torri pendenti, Asinelli e Garisenda, che fanno da sfondo a via Rizzoli, e le imponenti forme del “Gigante”, la monumentale statua che rappresenta il dio Nettuno mentre placa le acque, fusa in bronzo dal Giambologna nel Cinquecento, che domina l’omonima piazza. Troppo poco. Perché la “fosca turrita Bologna” del Carducci va, oltre che vista, anche annusata, assaporata, scoperta lentamente, percorrendo, per quanto possibile, i suoi 35 chilometri di portici, visitando le sue chiese a partire da San Petronio – seconda per lunghezza solo alla basilica romana di San Pietro – con la sua straordinaria meridiana lineare, o soffermadosi per qualche minuto nel mercato del centro, dove c’è sempre qualcuno che discute e ti spiega come si fa un buon ragù. E non si possono trascurare l’Archiginnasio con l’antico teatro anatomico, la piazza grande, la pinacoteca ricca delle più famose opere della scuola bolognese dei Carracci, di Guido Reni e del Guercino, la chiesa di Santo Stefano costruita a imitazione del tempio di Gerusalemme, i merletti e le filigrane del palazzo della Mercanzia. Si trova tutto in un fazzoletto di spazio sotto le torri, cuore pulsante della città fin dal Medioevo, dalle quali si dipartono a raggera tutte le strade. Fra queste, la più importante è il rettilineo via Rizzoli-Strada Maggiore, vale a dire la strada che un tempo univa Pavia e Ravenna, mettendo in comunicazione l’imperatore dei Franchi con quello dell’Impero romano d’Oriente. Ed è proprio a Bologna, punto mediano del percorso, che le due potenze si ritrovavano per discutere di leggi. A Bologna, dove il vescovo Irnerio e i suoi glossatori studiavano il codice giustinianeo e formulavano giudizi che erano sentenze. La nascita dell’Università Alma Mater si fa risalire al 1088, ma è nel 1158 che Federico I promulga la Costitutio Habita con cui l’università diventa, per legge, un luogo in cui la ricerca si sviluppa indipendentemente da ogni altro potere. I primi studiosi di cui si ha documentazione sono proprio Pepone e Irnerio, quest’ultimo definito dai posteri “lucerna iuris”. Dal XIV secolo, alle scuole dei giuristi si affiancano quelle dei cosiddetti artisti”, studiosi di medicina, filosofia, aritmetica, astronomia, logica, retorica e grammatica. Dal 1364, viene istituito anche l’insegnamento di teologia. A Bologna trascorrono periodi di studio Dante Alighieri, Francesco Petrarca, Guido Guinizelli, Cino da Pistoia, Cecco d’Ascoli, Re Enzo, Salimbene da Parma e Coluccio Salutati.

      Bologna raggiunse il suo massimo splendore nel XIII secolo, non solo per l’università, ma anche perché le sue milizie cittadine sconfissero nel 1249 l’esercito dell’Imperatore e catturarono Re Enzo, figlio di Federico II di Svevia, trattenendolo prigioniero nella città sino alla morte.

      Fu un secolo di riforme sociali: nel 1256 Bologna fu la prima città europea ad abolire la servitù della gleba. Dotata di un sistema di approvvigionamento di energia idraulica che era tra i più avanzati del mondo la città, a partire dal XV secolo, si specializzò nel setificio: i mulini da seta “alla bolognese” rappresentarono la più alta espressione della tecnologia europea sino al XVIII secolo.

      Dal XIV secolo assistiamo a una serie di guerre sfortunate e di lotte civili, e alla progressiva soggezione della città al potere temporale dei papi. Così Bologna si avvia a perdere la sua piena sovranità. Durante più di due secoli essa fu volta a volta sotto il dominio dei Visconti, signori di Milano, sotto l’influenza del governo della Chiesa Romana, ebbe governi repubblicani, fu governata dalle più importanti famiglie cittadine in lotta tra loro per ottenere la supremazia.

      Dal XVI al XVIII secolo Bologna rimase inserita nello Stato della Chiesa, governata da un lato da un Cardinal Legato del Papa e dall’altro dal Senato della città. In questo periodo ospitò alcuni eventi di importanza storica, come l’incoronazione di Carlo V, l’incontro tra il papa Leone X e il re Francesco I di Francia, lo svolgimento di varie sessioni del Concilio di Trento.

      Al fascino della cultura e della storia si affiancano i profumi della cucina, che rapiscono il visitatore. Ovunque ci si sieda, un buon piatto è assicurato: sia che si entri da “Vito” nel quartiere della Cirenaica, dove alle 2 di notte è ancora possibile mangiare per 20 euro un piatto di tagliatelle e uno stinco accompagnati da un “pistone” (bottiglione da due litri) di ottimo Sangiovese, sia che si scelga lo charme del “Diana” in via dell’Indipendenza, dove imperano i tortellini e il carrello dei bolliti. Ovvio, che qui il prezzo salga, ma certe volte bisogna proprio dire che “noblesse oblige”. Da Vito si radunano studenti squattrinati o artisti alle prime armi (sui muri sono ancora appese le foto dei Morandi e dei Guccini quando cercavano di trovare un posto al sole), al Diana si pranza accanto ai grandi artisti internazionali, alle mogli dei Capi di Stato o ai manager più accreditati del momento. Per chi desiderasse la via di mezzo, ma con la certezza di assaporare il miglior piatto di tagliatelle autenticamente bolognesi, occorre uscire dalla città in direzione Ravenna per andare alla Borgatella, in zona Roveri, dove la signora “Vilma” sfoggia il meglio di quanto ha imparato a fare, lavorando per tutta una vita al “Pappagallo” e nei migliori ristoranti del centro.

      Tre indirizzi, ma potrebbero essere trenta o trecento. Sono il simbolo di una città che ama la buona tavola e che difende con i denti la sua tradizione di fronte all’aggressività della ristorazione cinese, del sushi giapponese, dei piatti greci, turchi, indiani e via dicendo. Perché anche Bologna, città di antica tradizione cosmopolita (non foss’altro che per le migliaia di studenti stranieri che hanno frequentato il suo Ateneo a partire dal 1088), subisce l’ondata delle nuove invasioni straniere, che si insediano nel centro cittadino.

      Se non fosse per la presenza costante degli 80.000 studenti che frequentano l’Alma Mater e che pagano cifre da capogiro per alloggiare a gruppi nelle abitazioni più vicine alla sede universitaria, Bologna rischierebbe forse di scomparire, con le sue tagliatelle “permalose” (guai se non le mangi appena messe nel piatto), i suoi tortellini mignon, le sue lasagne al forno rigorosamente verdi infarcite di besciamella e ragù, abbondantemente ricoperte di parmigiano reggiano. Gli studenti l’hanno fatta crescere nel Medioevo, gli studenti la salvano ancor oggi.

 

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