con la Biennale d’Arte L’intera Laguna come museo a cielo aperto. In questa 54a edizione proposte e provocazioni del contemporaneo internazionale da 89 Paesi. Il discusso Padiglione Italia curato da Vittorio Sgarbi di Francesca De Filippi
Veduta esterna Padiglione Stati Uniti. Giardini della Biennale
La cornice è sempre la stessa, Venezia, con le sue suggestioni lagunari, i suoi colori pastellati e penetranti, le sue atmosfere sospese tra passato e una contemporaneità tutta da scoprire. L’ultima kermesse di una tra le più importanti manifestazioni mondiali d’arte, ha quest’anno preso il via tra mille polemiche e tante aspettative, a volte disattese e altre più che soddisfatte. Arsenale vecchio e nuovo, i Giardini, e tutta una costellazione di eventi collaterali disseminati tra calli, salizade e sottoporteghi, sono lo scenario consueto ma non desueto di questa Biennale che, come un banco di prova, misura, allo stato attuale, i livelli di sviluppo dei linguaggi artistici. A partire dal discusso Padiglione Italia curato dallo Sgarbi Nazionale che con “L’arte non è cosa nostra” ha segnato un punto di svolta nel processo che tiene legato artista, curatore e critico, dissolvendolo in un unico “tutto è arte”. Cosa pensare? Per quanto concerne gli esiti di tale operazione di “intellettuale memoria” si può proporre un politically correct: ai posteri l’ardua sentenza.
Molto più pulito e leggibile, sempre per quanto concerne la creatività del Bel Paese, il Padiglione delle Accademie all’Arsenale Nuovo, dove brillano alcuni nomi già noti, ma dove anche molte altre giovani leve hanno potuto godere di un importante momento di visibilità, il più delle volte meritato. A Leoni d’oro già assegnati può sembrare facile esprimere un’opinione positiva su questo o quest’altro padiglione delle nazioni o sugli artisti, ma effettivamente la Germania di Christoph Schlingensief e Christian Marclay, per la mostra “Illumi/nazioni” curata da Bice Curiger, con il suo video “The clock”, hanno di sicuro meritato l’onore.
Molto interessante, e sicuramente meno impegnata socialmente ma forse un passo avanti agli altri per originalità e aderenza alle esigenze estetiche e contenutistiche della contemporaneità, è stata l’Austria di Markus Schinwald, a cui fanno seguito gli special project di Giappone della video artista Tabaimo, la Grecia della Diohandi e la Svizzera di Thomas Hirschhorn con la mostra “Crystal of Resistance”. Fanno bella mostra di sé, anche se con allestimenti forse un po’ troppo puliti o troppo rigidi, i paesi dell’Est europeo come Serbia, Romania e Polonia, mentre coinvolge e stupisce l’opera “Chance” del grande Cristian Boltanski al Padiglione francese e il progetto di Artur Barrio per il Brasile, in cui fluido e armonizzante è il dialogo tra spazio espositivo e allestimento. Affascinante e raffinata, invece, l’opera di Raja and Shadia Alem dell’Arabia Saudita, alla sua prima partecipazione alla Biennale, come le visioni monumentali del giovane artista argentino Adrian Villar Rojas o l’impegno civile e politico degli Emirati Arabi. Per la lunga serie di eventi collaterali spiccano senza dubbio “L’Ascensione” di Anish Kapoor all’isola di San Giorgio, l’imponente e sacrale “Pietas” di Jan Fabre presso la Scuola Grande della Misericordia e ancora il “Ritorno a Venezia di Pino Pascali” al Palazzo Bianchi Michiel, come le belle collezioni di Prada, Pinault e infine la mostra di Julian Schnabel presso le sale di Palazzo Correr in Piazza San Marco.
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