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- FEBBRAIO 2018 -
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Cultura
Museo Hermann Nitsch
Dall’orrore alla coscienza
È ospitato negli spazi di una vecchia centrale elettrica. Sangue rappreso, barelle, ampolle e strumenti chirurgici, teatralità estrema e provocazioni per generare la catarsi del visitatore di Francesca De Filippi
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Napoli. Museo Nitsch. 130.aktion. Foto gentilmente concessa da Biagi Ippolito

     Percorrendo a piedi le incantevoli stradine del centro storico di Napoli e quasi perdendosi nell’intricato dedalo di viuzze lastricate e colorate qua e là dalle insegne di bottega o dai gerani variopinti sospesi sui balconi, ci si imbatte in uno dei più importanti centri dedicati all’arte contemporanea del Mezzogiorno d’Italia: il Museo Hermann Nitsch della Fondazione Morra. Situato all’interno di un suggestivo edificio di fine Ottocento, originariamente sede di un impianto per la produzione di energia elettrica e dunque strutturato seguendo le linee dell’architettura industriale, il Museo Hermann Nitsch si connota come un centro polifunzionale per lo studio, lo sviluppo e la divulgazione delle arti visive. Dedicato al padre del ben noto Azionismo Viennese ne ospita le istallazioni e i documenti di tutte le azioni prodotte dall’artista dal 1974 ad oggi in collaborazione proprio con Giuseppe Morra. Gli ampi spazi dell’edificio contengono i “relitti” delle azioni di Nitsch: i documenti fotografici e i video, le grandi tele rosse di colore e di sangue rappreso, le tonache o le barelle insieme con gli scaffali colmi di ampolle, alambicchi e strumenti chirurgici, definiscono una mappatura completa della poetica e dell’estetica del maestro viennese fondatore dell’ Orgien Mysterien Theater. L’alternarsi dei volumi geometrici delle sale del museo, scandito dalle direttrici architettoniche sobrie e rigorose, crea un dialogo interattivo con le opere, che emanano un’istintualità cruda e vivificata dalla preponderanza del colore rosso e dalla aggressività arcana e arcaica delle immagini appese alle pareti. La suggestione che si viene così a creare rispecchia in pieno uno dei concetti fondamentali dell’artista, quello della Gesamtkunstwerk, cioè del “tutto come opera d’arte”. Un concetto che, fondandosi sul totale coinvolgimento sensoriale nell’azione, segna la via attraverso cui sublimare le pulsioni istintuali. Secondo Nitsch infatti, lo stato di alterazione psicofisico è la condizione necessaria all’uomo per raggiungere, in una doppia valenza rituale e purificatrice, l’apice dello stato di coscienza. Coscienza che, risvegliandosi dal torpore indotto dalle convenzioni sociali, supera il confine dell’inconscio per riappropriarsi della purezza primordiale e bestiale che le è propria. Il simulacro del tabù e della morale comune è abbattuto in nome della vita. Ed è proprio in nome e per amore della vita che l’artista ripercorre i riti arcaici di matrice religiosa come il sacrificio animale e i convivi propiziatori, che divengono veicolo privilegiato per inscenare la tragedia umana. La gestualità estrema, teatrale, legittimata dal cerimoniale, esaspera il bisogno di un ritorno alle origini. L’esuberanza della materia e del colore, deliberatamente resa più acuta e pungente, diviene il termine di decodificazione del messaggio. La presentazione oscena di carne, viscere e organi è, quindi, rappresentazione del trapasso, del passaggio doloroso ma catartico ad uno stato superiore di felicità. La festa, come la nota festa di pentecoste ospitata nel 2002 proprio dalla Fondazione Morra presso la Vigna San Martino, diventa tripudio di corpi, emanazione di un interiorità alla continua ricerca di se stessa. “Senza crudeltà non può esserci la festa, questo ci insegna la lunga storia dell’uomo” dice lo stesso artista. 
      
Tutto si traduce in armonia. L’azione, nel suo farsi, diventa pentagramma di una sinfonia corale. Il colore è preludio all’azione, è contemporaneamente lo strumento e il fine ultimo, poiché racchiude in sé il potere abbagliante della luce e la carnalità. Le barelle presenti, le grandi tele monocromatiche “contaminate” dal passaggio dell’uomo che si è fatto vate investito dalla sacralità conferita al gesto, i disegni e i video, sono non solo le tracce imperturbabili degli intenti estetici e semantici volutamente lasciati dall’artista, ma anche radici, non statiche, per azioni future. L’aura emanata dagli oggetti investiti dalla forza liberatrice del rito arcaico, propaga dai tessuti, dai materiali e dalle immagini, modificando l’ambiente e la percezione. E proprio grazie a questa modificazione percettiva dell’ambiente, che il Museo garantisce continuità alla sua missione di stimolare riflessioni e processi creativi rivolti alla promulgazione e al rafforzamento dell’arte e della comunicazione visiva.

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