“Nel Capo di Leuca – la mia terra d’origine – per passare dalla costa est a quella ovest ci sono poche centinaia di metri, negli USA 2.691 miglia (4.692 chilometri)” di Paolo Mele
Laguna beach, California. Foto di Paolo Mele
Se la città ti risucchia, New York ti fagocita. Si ha sempre l’impressione di non aver visto mai abbastanza, anche dopo averci vissuto anni. La quantità di cose da fare e vedere è talvolta imbarazzante, spesso frustrante. Si fa fatica a fare una selezione e, a meno che non si possegga il dono dell’ubiquità (essendo la città di molti supereroi non ci sarebbe da meravigliarsi), è spesso impossibile riuscire a elaborare un’agenda appagante. Anche quando si decide di non prendere parte a nessuno degli eventi messi in calendario, il flusso di notifiche, mail, messaggi risulta travolgente.
Quando questo feeling comincia a essere troppo mortificante, e “New York I love you but you’re bringing me down” degli LCD Soundsystem risuona sempre più ossessivamente nelle orecchie, occorre cambiare rapidamente prospettiva e, magari, prendersi una pausa. È quello che ho deciso di fare lo scorso novembre.
“Questo posto sarà anche il centro del mondo, ma il mondo è decisamente più grande!”, mi sono detto prima di decidere di attraversare tutti gli Stati Uniti, da est a ovest, da New York a Los Angeles, dalla costa dell’alba a quella del tramonto. In bus.
Le ultime indecisioni sulla fattibilità del viaggio sono state risolte dalla visione dell’affascinante Station to Station, un lungometraggio di Doug Aitken composto da 62 film da un minuto, in cui artisti di diversa provenienza (da Beck a Patty Smith, da Olafur Eliasson a Ed Ruscha), hanno dato vita ad una serie di happenings che hanno visto come protagonisti luoghi e persone di questo vasto Paese, in un viaggio dall’Atlantico al Pacifico.
Nella mia terra d’origine, all’estremità del Capo di Leuca, per passare dalla costa dell’alba a quella del tramonto si percorre Punta Rìstola da una parte all’altra: poche centinaia di metri. Negli Stati Uniti la questione è più problematica: per assecondare il cammino del sole, la strada è lunga: 2.691 miglia, 4.692 km.
Se fossi partito dall’estrema punta della Puglia e avessi percorso lo stesso numero di chilometri andando verso est, sarei arrivato nel cuore della Russia. In direzione nord sarei invece giunto nella parte più settentrionale della Norvegia. In base alla strada scelta avrei attraversato almeno cinque o sei diversi Paesi, con altrettante lingue e culture.
Se tra un italiano del sud e un tedesco, russo o svedese, c’è una differenza abissale, non si troverà la stessa discontinuità culturale passando dagli abitanti dello stato di New York a quelli dell’Illinois, del Missouri, del New Mexico o della California.
C’è un fil rouge culturale, oltre che linguistico, che accomuna le immense distese americane, tra bandiere issate e fast food, shopping malls e pharmacies aperte tutte la notte, grattacieli imponenti e lussuriosi e case prefabbricate di legno di dimensioni e forme standardizzate.
Nel mio viaggio ho incontrato un’America generosa e vogliosa di conoscere persone e culture diverse, ma anche spaventata e guardinga. Come Dan, di Albuquerque, che pur non conoscendomi mi ha accolto come un amico di lunga data per poi confessarmi che, anche a causa dei recenti eventi come quelli di San Bernardino, fa sempre più fatica a girare senza un’arma. Ho incontrato l’America di tanti migranti che hanno inseguito un sogno e a volte lo hanno raggiunto, come Rocio, che da Barcellona ha trovato la sua dimensione tra le strade e le persone dell’insospettabile Oklahoma City; o Donato e Antonietta che hanno aperto due hair salons di successo vicino Los Angeles. Ho incontrato l’America di Emma, studentessa d’arte di St. Louise che studia duramente per poter raggiungere il suo sogno: andare a vivere e lavorare a New York. Ho incontrato un’America affascinante come le architetture e lo skyline di Chicago, mozzafiato come i tramonti della west coast o i paesaggi dell’Arizona e della California. Ho incontrato, ancora, un’America povera e popolare che ripetutamente attraversa il paese in bus, e una ricca e sfarzosa tra le colline di Hollywood e Beverly Hills.
Ho incontrato un’America che mi ha confermato, nel bene e nel male, che New York ha ben poco dell’America.