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Indiani d’America
Il gallipolino che narrò gli indiani d’America Congedo Editore pubblica ora, per la prima volta in italiano, il saggio Gli indiani Pellerossa Abnaki e la loro storia, prezioso documento sulla cultura dei nativi, pubblicato a New York, nel 1866, dal gesuita Eugenio Vetromile, nativo di Gallipoli di Dino Levante
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Chi l’avrebbe mai detto! Il primo e senza dubbio il più prezioso contributo sulla storia e sulla lingua degli indiani d’America lo ha offerto alla comunità mondiale un gallipolino, un sacerdote gesuita. Eugenio Vetromile, nato nella “città bella” il 22 gennaio 1819, a soli diciannove anni aveva lasciato la sua casa per perseguire gli studi presso la Compagnia di Gesù nel collegio di Sorrento, al seguito di due padri giunti in città per una missione al popolo.

Visse una importante esperienza nell’Istituto di Propaganda Fide a Roma, dove si laureò oltre che in teologia anche in lettere classiche e dove apprese diverse lingue straniere. Padre Vetromile l’8 agosto 1845 s’imbarco dal porto di Livorno, assieme ad altri confratelli gesuiti, sul piroscafo “Coosa” alla volta di Philadelphia, dove giunsero il 23 settembre. Dopo alcuni giorni era a Washington e frequentò per tre anni il prestigioso Georgetown University College, imparando i primi rudimenti della lingua degli indiani Abnaki (Abenaki o Alnôbak). Tornato in Italia, venne ordinato sacerdote nel 1848 e due anni dopo venne inviato nuovamente in America, ma questa volta per aprire una missione tra gli indiani del Nuovo Continente.

Queste e altre avvincenti avventure sono narrate nel volume Gli indiani Pellerossa Abnaki e la loro storia di Eugenio Vetromile (Congedo Editore, 176 pagine, 16 euro), curato e tradotto da Aldo Magagnino. Il libro, dopo un’ampia e dettagliata biografia dell’autore gesuita, propone per la prima volta in italiano il testo dell’edizione originale del saggio, pubblicato a New York nel 1866.

Dopo alcune informazioni generali sugli indiani del Nord America, il gesuita analizza le caratteristiche del popolo degli Abnaki, le abitudini, la lingua, la scrittura. Altri capitoli sono dedicati ai confini abitati dagli indigeni, ai fiumi e alla disposizione dei villaggi. Dopo le indicazioni geografiche e morfologiche dei luoghi padre Vetromile descrive gli usi e i costumi del suo popolo da evangelizzare: la religione e la superstizione, la vita pubblica e quella domestica, la loro concezione del tempo e il rapporto con l’astronomia, il carattere, le divisioni nell’interno della società indiana. Il gesuita giunge ad elencare le problematiche del tempo già allora dinanzi alla minaccia (poi tristemente avveratasi) della loro sopravvivenza, per cui avanza ipotesi per la difesa di quel popolo di fronte alle infamanti accuse di crudeltà, di slealtà, a causa delle quali molti Abnaki erano stati impiccati (trentanove nel Minnesota).

Il padre missionario propose di istituire delle “riserve” a protezione degli indiani nordamericani, che il governo Usa mise in pratica, ma dopo molti anni, forse troppi.

Gli Abnaki vivevano nel Québec e nella Nuova Inghilterra, tra Canada e Stati Uniti, a Nord-Est, tra le insenature della terra bagnata dall’oceano Atlantico.

Il popolo abnaki, che significa “gente comune”, fu decimato da colonizzazione, guerre e malattia.

Padre Vetromile, dopo una vita avventurosa, morì a Gallipoli il 23 agosto 1881, lasciando diversi scritti in inglese sugli indiani d’America che nei secoli servirono ai missionari, ai viaggiatori ed esploratori dell’altra parte del mondo.

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