
Jaune Quick-to-See Smith
“Lei aveva dei cavalli” Nata in Montana ma residente in New Mexico, Jaune Quick-to-See Smith rompe i cliché del modo tradizionale di raffigurare i cavalli degli indiani.
Arte come impegno politico e un segno pittorico inconfondibile, sempre pervaso di ironia di Emanuele Arciuli

Jaune Quick-to-See Smith, War is Heck, 2002. Whitney Museum of American Art, New York
Mi sono imbattuto nei lavori di Jaune Quick-to-See Smith, per la prima volta, nel 2005.
Ero a Santa Fe, passeggiando per gallerie, e una attirò particolarmente la mia attenzione. Vi erano esposte tele, ma pure lavori su carta, di questa singolare artista, dal nome curioso – in italiano potremmo tradurre “sguardo veloce” – nata in Montana (Flathead Reservation), ma residente da tanto in New Mexico (dalle parti di Albuquerque, in un borgo chiamato Corrales).
Mi colpì la potenza delle immagini, che spesso raffiguravano cavalli. Ma non alla maniera, direi classica, e va da sé bellissima, di Earl Biss, Bruce King o Kevin Red Star, cioè assecondando quell’immaginario collettivo alimentato dal cinema e dalla letteratura, con l’indiano a cavallo.
No, qui il cavallo era reso, potremmo dire, come “ready made”, o – per trovare un paragone musicale – come un gesto sonoro di John Cage. E però con un’ironia tagliente che – senza sconfessare la passione e l’interesse di Jaune per i cavalli – denunciava la banalizzazione di certe immagini, il loro ridimensionamento a luogo comune, vuoto cliché.
C’erano altre immagini usate con maestria e piene di rimandi colti e assieme di gusto pop (guardando le litografie con le scatolette di Posole, che fanno parte di una storica serie della Smith, non si può non andare col pensiero alle Campbell di Wharol).
La forza, assieme raffinatissima, colta e selvaggia, di questi quadri, la ritrovai in un grande dipinto che, di lì a pochi giorni, potei ammirare al Museo di Denver. Trade Canoe for Don Quixote, il titolo. Una enorme canoa, con un demonio – quasi dantesco – che trasporta scheletri, teschi, animali morti. Una specie di Guernica, con i colori terrei del New Mexico, opera terribile e assieme poetica, che assume – come spesso nel caso di Jaune Quick-to-See Smith – un carattere “politico”.
È sempre molto difficile fare arte politica, un terreno scivoloso che, in genere, produce risultati deludenti. Il rischio del banale qualunquismo è sempre dietro l’angolo, ma non solo. Spesso la capacità e la profondità di lettura di un artista non sono pari al suo talento, e così abbiamo opere, magari bellissime, che partono da presupposti di una sconfinata ingenuità. Non sempre il binomio funziona, insomma.
Nel caso di Jaune le cose stanno diversamente. L’ironia che accompagna sempre il suo sguardo sul mondo è una bussola infallibile. Inoltre il suo segno pittorico, così inconfondibile, è molto efficace, assieme ricco di influenze – specie europee, si pensi non solo a Picasso ma anche a certa bad painting inglese – e unico, inimitabile.
Soprattutto Jaune Quick-to-See Smith non è artista che, trovata la sua strada, la percorra pacificamente senza sobbalzi. Jaune è una persona inquieta, fragile e continuamente in cammino. Mettere in discussione il proprio lavoro, per lei, è l’essenza stessa dell’essere artista. E così ogni mostra, ogni quadro direi, è una esperienza nuova e inattesa. Sempre, però, capace di illustrarci con generosità e calore il suo pensiero, le sue memorie (che affondano nella vita in riserva, con un papà che sapeva domare i cavalli come pochi) le sue indignazioni, le sue speranze, i suoi moti di allegria quasi adolescenziale, in definitiva la bellezza del suo complesso mondo interiore.