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Indiani d’America
La famiglia come comunione di spirito piuttosto che di sangue Nucleo allargato a coloro che condividono la stessa visione del mondo piuttosto che gruppo di padre, madre e figli.
La proposta di un nuovo modello di società attraverso l’analisi delle culture tribali e pre-occidentali in The Sacred Hoop, della scrittrice nativa americana Paula Gunn Allen
di Lorena Carbonara
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La copertina del libro di Paula Gunn Allen
(24 ottobre 1939 - 29 maggio 2008),
poetessa nativa americana,
critico letterario, romanziera
e attivista lesbica

      Sull’onda dei recenti dibattiti mediatici relativi alla giornata internazionale contro l’omofobia e la transfobia, riapro con curiosità un testo del 1986: The Sacred Hoop, della scrittrice nativa americana Paula Gunn Allen. Recovering the Feminine in American Indian Traditions, il sottotitolo dell’opera, svela la natura controversa del testo che mira a recuperare ciò che di smarrito c’è non solo nella cultura americana di massa. Riappropriarsi di una visione femminile, di una prospettiva di genere che l’autrice stessa definisce feminst-tribal, è l’obiettivo della scrittrice che si pone in atteggiamento critico nei confronti della sua stessa cultura d’origine.

      Nata e cresciuta nella multi-etnica cittadina di Cubero, nel Nuovo Messico, P.G. Allen si è affermata come una delle madri fondatrici dei Native American Studies statunitensi, cioè di quegli studi che si occupano della cultura, della storia e della letteratura nativo-americana. Deceduta nel 2008, ha lasciato dietro di sé la scia di un cospicuo corpus di testi dedicati alla revisione del canone letterario americano ufficiale, alla teorizzazione di un discorso tribale, femminista e lesbico, alla letteratura femminile e alla storia della critica letteraria.

      The Sacred Hoop (Il cerchio sacro) si apre con un’immagine verbale interessante: “Life is a circle and everything has its place in it” (La vita è un cerchio e tutto ha un posto al suo interno). Un posto che spesso, spiegherà Allen, siamo chiamati a negoziare assieme al diritto di delineare la nostra identità razziale, sessuale e di genere. A tal proposito, per mettere in atto una pratica attivista responsabile e consapevole, non si può prescindere, secondo la scrittrice, dalla comprensione delle culture tribali.

      La cultura nativo-americana ha molto in comune con le società del Sud-Est Asiatico, della Melanesia, della Micronesia, della Polinesia e dell’Africa, afferma Allen, che include anche le antiche culture sacre dell’area mediterranea e dell’Europa del Nord in questo insieme trans-nazionale di società pre-occidentali (intendendo per “occidentale” il modello anglosassone-eterosessuale-bianco, diffuso dalla cultura americana). Questi gruppi condividono una visione del mondo più di quanto facciano le società di stampo patriarcale, sottolinea la scrittrice, che si sofferma sul concetto di kinship, di parentela, legandolo alla comunione di spirito piuttosto che di sangue.

      Questa immagine di nucleo “allargato” a coloro che condividono una visione del mondo, l’idea di famiglia slegata dall’unione di padre, madre e figli, è ciò che traghetta il pensiero di Allen dagli anni ’80 fino ad oggi. La comunità tribale, composta da nuclei di natura “spirituale”, rappresenta un modello di aggregazione lontano da implicazioni meramente geografiche, culturali e politiche. La relazione col mondo naturale e soprannaturale è al centro dell’ordinamento societario nativo-americano che prevedeva in tempi non sospetti l’autonomia dell’individuo, la cooperazione, il rispetto della dignità, la libertà, la distribuzione di beni e servizi, il rispetto dell’altro, il pacifismo come atteggiamento nei confronti della vita, il senso del sacro e del mistero dell’esistenza, l’armonia e l’equilibrio secolare.

      Rileggere Paula Gunn Allen oggi, spinti dall’odierna necessità di ripensare le diverse declinazioni delle identità e delle relazioni umane, offre spunti di riflessione critica sulla natura dello stare in com-unione. La letteratura ci spinge a interrogarci sulla visione del mondo alla base della cultura che ha generato quella determinata opera d’arte e, nel caso delle letterature tribali, ad abbandonare i nostri preconcetti e le aspettative, per lasciare spazio allo stupore.

      Coltivare la meraviglia come atteggiamento nei confronti del reale, evitando di etichettare ciò che non comprendiamo come “primitivo”, “folkloristico”, “selvaggio” o “pagano”, è l’attualissimo messaggio che emerge dalle parole della scrittrice che tenta di ricomporre the sacred hoop e lo fa riecheggiando un antico canto della tradizione nativa Keres: 

 

I add my breath to your breath

That our days may be long on the Earth

That the days of our people may be long

That we may be one person

That we may finish our roads together

May our mother bless you with life

May our Life Paths be fulfilled

 

Aggiungo il mio respiro al tuo respiro

Che i nostri giorni sulla terra possano essere molti

Che i giorni della nostra gente siano molti

Che noi possiamo essere una sola persona

Che possiamo completare insieme le nostre strade

Possa nostra madre darti il dono la vita

Possano i nostri percorsi realizzarsi

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