
“Restiamo delusi per le fantasie che non si realizzano. Ma da quelle delusioni si impara e si cresce” di Giovanni De Benedictis

Immagini da La città dei sogni di Paola Bernardini
Entroterra pugliese. Un adolescente e un bambino scappano di casa per raggiungere la zia sulla costa adriatica, in cerca di un futuro migliore. Un’idea semplice, eppure carica di significati, è alla base di La città dei sogni, cortometraggio che ha fruttato a Paola Bernardini ben quattro “Dusty Film Awards”.
La giovane cineasta barlettana, formatasi in regia alla School Of Visual Arts di New York, con la sua pellicola girata nei dintorni di Monopoli ha vinto i premi per miglior film, fotografia (a Yana Karin) e montaggio (Jared Simon), oltre al “New York Women in Film & Television Award”.
Bridge Puglia USA ha deciso di intervistarla per approfondire alcuni spunti – di carattere non solo cinematografico – suggeriti dal film.
Di quali opere La città dei sogni potrebbe dirsi figlia?
Ci siamo molto ispirati a film tipo Ladri di Biciclette, Nuovo Cinema Paradiso e il classico americano Stand By Me. È una storia di formazione, quella che in America si chiama una “coming of age story”. Credo che tutti, a un certo punto, ci siamo fatti un’idea allegra e positiva di qualcosa che si sarebbe sviluppata nel futuro. Poi finisce che molto spesso queste fantasie non si realizzino e restiamo delusi. Da tutte quelle delusioni si impara e si cresce. Un’idea molto semplice e universale.
Due ragazzini scappano da una madre che non li ama. Ciò rimanda alle crisi delle famiglie d’oggi?
La madre è una persona che non ama se stessa e non ha amato i figli. Ci sono alcuni aspetti che possono richiamare la crisi della famiglia, ma non era il nostro obiettivo principale. Non abbiamo tutti una madre terribile da cui bisogna scappare, io di certo non l’ho avuta.
La trovata della mano sputata è modo di dire che solo i legami di sangue sono l’ultima ancora di salvezza rimasta? I fratelli si difendono da chi è più ricco e potente: ci sono prospettive di rivalsa sociale oggi?
La mano sputata è un gesto di fiducia che Giovanni, il più grande, inventa per rassicurare il fratello più piccolo. Il ripetersi di questo gesto rafforza l’amicizia che si crea tra i due. Al termine del film sarà Ernesto a proporlo. Ciò li porta ad affrontare con vigore chi voglia approfittarsene e avvilirli in virtù della superiore posizione sociale. In questo senso si può parlare di rivalsa sociale, ma anche di resistenza alla prepotenza.
Da ladri di uova e uva a un futuro sulla costa: c’è in questo percorso una metafora dello sviluppo economico della Puglia, che da regione agricola è ora la meta turistica più ambita d’Italia?
Certamente il film riflette gran parte dello sviluppo economico della Puglia. I paesaggi rupestri e quelli sulla costa rimandano a quell’immagine iconografica che si è andata affermando in questi ultimi tempi. Non bisogna però dimenticare – anche se nel film non se ne fa cenno – che ci sono varie attività economiche che si stanno affermando nella mia regione. Mi piace pensare, ad esempio, che a Monopoli una realtà turistica conviva con le emergenti industrie a tecnologie avanzate.
Durante la stesura della sceneggiatura, Dylan Gantz quanto s’è consultato con lei per ambientare la storia in Puglia? Lui ci era già stato o ha pensato a una storia che avrebbe funzionato anche altrove?
Dylan Gantz ed io abbiamo sviluppato la sceneggiatura insieme perché non era mai stato in Puglia e aveva bisogno del mio aiuto per avere il risultato più autentico possibile. Per qualche ragione se la immaginava come fatta di luoghi da film western. Una volta arrivati a Monopoli siamo andati alla ricerca dei posti in cui girare e abbiamo modificato la storia. A quel punto Dylan ha avuto una percezione molto diversa, la sceneggiatura è diventata subito più vera. Si è anche sentito ispirato a scriverne altre ambientate in Puglia. A copione ultimato ho tradotto il tutto in italiano.
Da Barletta a New York, andata e ritorno: com’è stato lavorare in Puglia con una troupe internazionale?
Girare in Puglia è stato fantastico, la troupe era piccola e il lavoro tanto. È stata sicuramente un’esperienza unica, soprattutto per i miei colleghi che sono venuti da New York. Il posto piace molto e in tanti adesso mi chiedono dove sia la Puglia e cosa siano i trulli.
Siamo stati aiutati da un Casting Director del luogo per la selezione degli attori. Abbiamo trovato ovunque un’accoglienza e una disponibilità che ci hanno facilitato enormemente il lavoro. La nostra scuola ci ha dato fiducia e ci ha sostenuto, anche finanziariamente, nella realizzazione del film e di questo sono estremamente grata.
Gli italiani vengono considerati meglio all’estero più che in madrepatria, asfittico “paese per vecchi”?
Non credo di essere stata favorita perché italiana, ma noto che altri italiani hanno ricevuto dei riconoscimenti nel “Dusty Film Festival 2015” a dimostrazione che i talenti nel nostro Paese non mancano. Quello che serve è creare le opportunità in Italia per dei giovani come me, così come avviene all’estero.