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- FEBBRAIO 2018 -
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New York - New York
A Times Square
la città che non dorme mai
La zona dei teatri di Broadway stordisce con le sue cascate di insegne al neon e la folla multietnica. L’area dei palazzi di lusso intorno a Central Park South, tra miliardari e barboni di Joseph Tusiani
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New York. Times Square. Foto di Anita Sanseverino

      Ti trovi nel cuore, anzi nel vortice, della notte, ma, poiché all'improvviso scompare ogni antica cognizione del tempo, ti chiedi come tu sia passato dall'ultima luce sbiadente della sera a queste miriadi di faville multicolori che ti circondano e quasi ti toccano fino a darti l'impressione che esse partano da te o sia tu stesso a sprigionarle.  Ti guardi intorno e vedi gente mai prima incontrata ma che ti sembra un'immensa famiglia, la tua famiglia.  Ti senti una delle migliaia di persone che passando ti sfiorano, eppure esse vengono da ogni parte del mondo, parlano le lingue più belle e più strambe, vestono nelle fogge più complesse e più semplici, sembrano tutte americane, eppure, se ne domandi l'identità, si dichiarano turisti asiatici, africani, europei, australiani o addirittura indiani d'America.

      La New York notturna è indescrivibile: è una favola narrata con tante varianti quanti sono quelli che la narrano. Se, per esempio, ti accorgi di trovarti davanti a Times Square, dove troneggia il mitico grattacielo dalla cui sommità, a mezzanotte del 31 dicembre, scende, scandita e quasi spinta dall'ansia degli innumerevoli spettatori, la sfera luminosa che annunzia l'anno nuovo, quasi non lo riconosci: è diventato un grattacielo come tutti gli altri, accomunato dallo stesso bagliore, reso familiare dalla stessa appartenenza a un'unica America, a un unico mistero.

     Sì, perché è soprattutto un mistero la notte newyorkese. Sei stordito dalle infinite insegne luminose lampeggianti sugli ingressi dei teatri d'ogni genere e d'ogni gusto: operette (che qui chiamano musicals), varietà di jazz, rock and roll, reggae, e aggiungi quello che cerchi, sicuro di trovar tutto.  Ma, più che le stesse insegne, ti sorprendono le forme che esse assumono col volgere dei minuti.

      Il primo ineffabile stupore te lo dà la tecnologia moderna che ha trasformato la parte anteriore di questo grattacielino di trenta piani in una cascata di onde al neon che, susseguendosi con ritmo uguale, scendono verso il marciapiede, come a valle, tra gli Stati Uniti e il Canada, scendono le acque del Niagara.

      Come in un paradiso dantesco, le luci si scompongono e scompigliano, diventando ora due labbra che assaporano un bel caffè fumante, ora una ballerina in tutu che indica una sottostante sala da ballo. Senza accorgertene, quasi spinto dalla folla che ti circonda, hai percorso una ventina di streets ed avenues, e ti trovi ora in un'area meno vorticosa ma ugualmente abbagliante, dinanzi al Plaza e all'Hotel Pierre: dalla frenetica epopea di Times Square sei giunto alla poesia lirica dell'ingresso al Central Park, dove immediatamente t'incantano alcune arcaiche carrozzelle con cavalli festosamente inghirlandati in attesa di romantiche coppiette desiderose di una memorabile gita nel Parco. E, tutto intorno, impera il colore giallo dei taxi che portano a ristoranti di lusso signore e signori usciti dai vari teatri o nelle altre quattro Contee turisti già stanchi della lunga giornata di Manhattan.

      Ma sei ancora a New York, che, nonostante susciti la ridda delle emozioni che provi, fa parte del mondo reale, del mondo delle lacrimae rerum. Ecco il grido lacerante di un'ambulanza che, imperiosa e stridula, dice a pedoni e automobilisti di far largo a un anonimo poveraccio in pericolo di vita. Ed ecco, in un angolo di strada, un mucchio di cenci e cartoni sotto cui dorme un cosiddetto barbone che non sa dove andare.  Ed ecco ancora, in un altro angolo, una vecchietta che, rovistando in un cassetto di spazzatura, cerca qualche rimasuglio di tramezzino da trangugiare all'istante o qualche maglia ancora usabile da portar via, prima che se la inghiotta l'impassibile “truck della Nettezza Urbana Municipale.

      Io presto tornerò al Knicherbocker, il grattacielo dove abito (dovrei ancora una volta dire grattacielino, trattandosi di soli ventidue piani). È sito nella street dove risiede il miliardario Sindaco Bloomberg, e dove il Vaticano si è comprato la graziosa Palazzina della Nunziatura Apostolica. In questa zona ricca e sorvegliata più delle altre, anche i grattacielie e grattacielini hanno un nome, per lo più prestigioso, come Lincoln, Washington, Tudor, Wellesley, e così via. C'è meno confusione qui, meno congestione di visitatori e turisti. Rimane, però, immutato, l'interminabile, inesorabile sfrecciare giallo dei taxi, pubblici e privati, e restano, lasciate accese fino al mattino, le luci dei negozi e, per altre due o tre ore, quelle dei ristoranti multinazionali, alcuni dei quali hanno appena aperto le porte agli ultimi clienti ritardatari.

      Una nota canzone, quella che dice che se ce la fai in questa Città ce la fai dovunque, chiama New York the City that never sleeps (la Città che non dorme mai). E forse è vero.