
un libro per “raccontarle” In Tutte le donne dell’Imperatore l’autrice, la storica Bianca Tragni, ne traccia ritratti bellissimi con sensibilità tutta femminile. E ricostruisce, attraverso di loro, la figura del – malgrado tutto – grandissimo Federico di Lino Patruno

La copertina del libro di Bianca Tragni
Fossi stato Federico II di Svevia, non me ne sarei andato quello struggente 13 dicembre 1250 da Castel Fiorentino, senza aver dato l’ultimo ordine. L’ordine di erigere già allora un monumento a Bianca Tragni, che un veggente come lui avrebbe capito quanto importante sarebbe stata per la sua grandezza postuma. Grande, Federico, lo fu già di suo. E la sua leggenda non sarebbe durata imperitura fino a noi se non ci avesse lasciato le profezie che ci ha lasciato, molte poi realizzate molto più tardi di quanto egli avrebbe voluto: a cominciare dall’unità d’Italia e d’Europa.
Bianca Tragni, che è una storica molto più storica di tanti spocchiosi d’accademia, sa su Federico molto più di quanto un qualsiasi essere umano potrebbe. Convinta della sua immortalità nonostante le tante ombre su di lui. E convinta, benché questo Federico non è che poi con le donne fosse un campione granché diverso dalla pessima media degli uomini del tempo. Come dimostra nel suo ultimo scintillante libro, Tutte le donne dell’imperatore. L’universo femminile di Federico di Svevia (Adda ed., pp. 182, euro 15).
È un libro da consigliare, senza tema di piaggeria, alla lettura non solo di chi volesse approfondire l’argomento. Ma anche da consigliare alla lettura di chiunque amasse una storia non raccontata barbosamente per date e luoghi, ma per umanità dei protagonisti. Una storia raccontata con la capacità di far capire come anche chi ha consegnato una traccia indelebile ai secoli, in fondo vivesse gioie, dolori, debolezze, generosità, entusiasmi e viltà come tutti noi.
Compreso Federico, e con le donne in particolare. Una caterva fra mogli, amanti, madre (e madri), figlie, nuore. Tutte accomunate, ringhia la Tragni, ad oggetto del piacere e del potere del nostro, fra sesso e figli: salvo poi “a idealizzarle e ad angelicarle nella poesia cortese”. E chissà che non sia un agguato del destino, o una sanzione del cielo, che benché attraverso le donne e i loro figli maschi avesse cercato chi gli desse una discendenza imperitura, non andò così. Perché questa discendenza si fermò solo diciotto anni dopo di lui, con la morte del nipote Corradino: triste malinconico epilogo della gloria della dinastia Hohenstaufen che aveva attraversato quasi due secoli di storia europea.
Queste donne dell’imperatore, allora. Ritratti bellissimi, come solo il racconto e la sensibilità di un’altra donna avrebbe potuto. A cominciare, una per tutte, dalla italiana, Bianca Lancia: “la vide fra gli alberi in una raduna erbosa, in una radiosa giornata di maggio. Ne fu folgorato. Ne fu fulminato. Ne fu tramortito”. Scrissero i cronisti dell’epoca: “Nimis, cioè troppo, l’amò”. Ciò che non le evitò una morte civile quando Federico si sposò per la terza volta, per motivi politici. La allontanò, ed ella uscì di scena in silenzio.
Ma la storia ci ha tramandato che non finì lì. Il riavvicinamento e un amore che durò vent’anni, come mai era mai avvenuto prima e mai sarebbe avvenuto dopo per Federico. E le nozze infine in punto di morte di lei, che gli aveva donato tre figli fra cui Manfredi: “era l’ultima gioia che poteva dare alla sua Madonna Amore e al suo Compimento in lei”.
Eppure, commenta la Tragni con l’unghiata della vecchia femminista, Federico che vide dispersi e sconfitti i figli maschi cui tanto teneva, ebbe la sua ultimissima discendenza proprio con quelle donne da lui così poco considerate, così poco stimate, forse anche così poco amate. Ma che, dalla nipote Costanza in giù, trasfusero parte del suo genio in alcuni loro figli. A dimostrazione, sembra suggerire la Tragni nel suo libro, che ti puoi chiamare anche Federico, ma senza le donne non vai da nessuna parte. Allora come ora.