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Cucina pugliese
Pasta di mandorle
Gli agnellini di Pasqua
Si possono rintracciare le origini della pasta di mandorle andando indietro nei secoli addirittura fino agli Etruschi e ai Romani.
Durante le festività pasquali prende la forma di agnellini, una tradizione che deriva dalla religione cristiana
di Dario Ersetti
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Agnellino di pasta di mandorle, tipico dolce pugliese delle festività pasquali. Foto di Dario Ersetti

      La differenza tra la pasta di mandorle e il marzapane è che l’una è cruda e l’altro è cotto, anche se in merito c’è molta confusione.

      Qualcuno vuole che l’invenzione della pasta di mandorle sia di una monaca leccese, Anna Fumarola, che nel 1680 ne scrisse la ricetta:

      In tre libbre di giulebbe maturato con succo di limone e acqua di cannella bianca, si faranno a fuoco lento cuocere libbre tre di mandorle dolci peste, avvertendo di dimenarle bene con mestolo di legno e sfornarne un pastume. Dopo si verserà in un tondo per farlo freddare e formare quella figura che piacerà.

      La monaca era una benedettina del monastero di San Giovanni Evangelista di Lecce, famoso ancora oggi per la produzione di dolci a base di pasta di mandorle e ispiratore nel corso dei secoli di tutte le pasticcerie leccesi più famose. Dirette concorrenti di questo convento leccese erano le suore teresiane di Bari, che ne contestavano la primogenitura.

      In realtà Bartolomeo Scappi, cuoco di papa Pio V, e tra i primi estensori di un ricettario “moderno”, nel suo Opera dell’arte di cucinare (Tramezzino, Venezia) del 1570 riporta una ricetta quasi uguale, e già cent’anni prima, nel 1467, si legge una ricetta simile nel De honesta voluptate et valetudine scritto da Bartolomeo Sacchi detto il Platina, il quale si ispira al manoscritto del 1450, Libro de Arte Coquinaria di Maestro Martino da Como, cuoco personale del Patriarca di Aquileia.

      A questo punto sorge spontanea una domanda: un dolce così “dolce” non ricorda un po’ la cucina araba? E infatti esiste una manoscritto del 1226 scritto da Mohammad bin al-Hasan bin Muham-mad bin al-Karim al-Katib al-Baghdadi con il titolo Kitab al-tabikh, nel quale troviamo il Faludhaj, la vera “madre” di tutte le paste di mandorla.

      E qui ci fermiamo, anche se si potrebbe risalire ancora più indietro, poiché anche gli Etruschi e i Romani conoscevano una specie di pasta di mandorle.

      In Puglia, per Pasqua, si confezionano dolci di pasta di mandorle a forma di agnello, una tradizione che deriva dall’Antico Testamento: “… Il Signore disse a Mosè e ad Aronne nel Paese d’Egitto: ciascuno si procuri un agnello per famiglia … Dopo averlo sacrificato ecco in qual modo mangerete: con i fianchi cinti, i sandali ai piedi, il bastone in mano; lo mangerete in fretta. È la pasqua del Signore! …”. Successivamente, nel Nuovo Testamento, l’agnello sacrificale simboleggia proprio il figlio di Dio: “Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che prende su di sé il peccato del mondo”. È questo il motivo per cui gli agnellini di pasta di mandorle vengono decorati con una croce o uno stendardo.

      L’uso dell’agnello come simbologia pasquale è diffuso in modo particolare in tutto il Meridione d’Italia (forse il più famoso è quello di Favara, in provincia di Agrigento, ripieno di crema di pistacchi) mentre per Natale è di rigore la forma di pesce, e anche i “pesci” si farciscono con perata e faldacchiera.

      Nei vari mercati si trovano stampi di banda stagnata o di gesso, di varie misure.

 

 

La ricetta

 

Dosi per un agnellino di circa 2,5 kg:

 

- 1 kg mandorle ridotte a farina

- 1 kg di zucchero a velo

- 2 mandorle amare tritate

- 100 gr di glucosio

- circa 200 ml di acqua

 

 

      Per il RIPIENO:

- faldacchiera (tuorli d’uovo e zucchero in uguale peso)

- perata (pere e zucchero)

 

      Per preparare la pasta di mandorle impastare a freddo tutti gli ingredienti regolando la densità aggiungendo acqua.

      Inserire parte dell’impasto nello stampo ricoperto di pellicola, sistemarvi il ripieno e coprire con l’altra pasta.

      La faldacchiera è uno zabaione di tuorlo d’uovo e zucchero (un cucchiaio di zucchero per ogni tuorlo).

      Sbattere con la frusta i tuorli e lo zucchero fino ad ottenere un composto spumoso. Cuocere a bagnomaria, con l’aggiunta di acqua di rose o scorza grattugiata d’agrumi, e portare il composto a una densità simile alla maionese.

      La perata è una confettura tipica pugliese molto densa che assomiglia alla cotognata. Conviene prepararla con le tipiche perette semiselvatiche pugliesi. Procedere come per la cotognata (vedi nostra ricetta di novembre 2011 in archivio in “Cucina Pugliese”).

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