Bruno Maggio. China
Traduzione: la riuscita di un matrimonio è inversamente proporzionale alla distanza della casa della sposa dalla casa dello sposo. È assicurata se la sposa è nata e cresciuta nel vicinato, è incerta se è nata e cresciuta nel tuo stesso paese ma non nel tuo quartiere, è molto difficile – e improbabile – se non è del tuo paese. Questa è la variante pugliese del notissimo proverbio “mogli e buoi dei paesi tuoi”, una variante estremizzata (oggi si direbbe ‘radicalizzata’): per il proverbio garganico, infatti, non è sufficiente che la sposa sia dello stesso paese, ma deve far parte della stessa rete sociale, addirittura dello stesso vicinato dello sposo. È meno radicale, ma diffuso nella stessa area, e risponde alla stessa logica l’altro proverbio “Mugghiére e mule ànn’a èsse de li paise tue” (dove i muli hanno la stessa funzione dei buoi appena ricordati). Qui non si esige la vicinanza di strada ma si prescrive co-munque la vicinanza dell’area.
La tendenza a contrarre matrimonio all’interno dello stesso gruppo sociale o etnico, la cosiddetta endogamia, non poteva essere assente dai proverbi pugliesi: è diffusa in tutte le civiltà, in tutti i tempi, e ha solide motivazioni sia economiche che socioantropologiche. In una società contadina – com’è quella in cui fioriscono i proverbi – l’endogamia assicura il conseguimento di due obiettivi fondamentali: il potenziamento della forza lavoro e l’acquisizione di terreni (o quanto meno la conservazione del possesso dei terreni) all’interno del vicinato. Tanto era diffusa – non solo in Puglia – che ci sono testimonianze di località nelle quali, in passato, tutti i matrimoni si celebravano fra compaesani (anche fuori d’Italia: ad esempio in Alvernia nel Settecento, nella Mancia agli inizi dell’Ottocento). Addirittura, il requisito del vicinato era così forte da insidiare il tabù dell’incesto: nelle montagne vicino a Como, nelle richieste di dispensa per il matrimonio fra consanguinei, ancora un secolo fa ricorreva la formula “si fa questo contratto come parenti prima, e poi amici, et vicini di casa”.
I proverbi, come più volte abbiamo visto, da una parte riflettono il ‘comune sentire’ – in questo caso lo stereotipo xenofobo – dall’altra affiancano e suppliscono alle disposizioni formali, con la stessa – se non maggiore – forza normativa. E agiscono in modo esplicito, coercitivo e indiretto, o anche tramite suggestioni indirette, quasi subliminali. Penso ai proverbi che, per invogliare i maschi a scegliere la sposa ‘vicino a casa’ celebrano le bellezze tipiche dell’area. Per restare in Puglia, “brunette tira l’affètte” invoglia a preferire le brune alle bionde, “A corte pe mmarite, a lònghe pe li ffiche” (la donna bassa per soddisfare il marito, quella alta per co-gliere i fichi) induce a privilegiare le donne bassotte, “la megghiére perfètte: panze, cule e ppètte” (la moglie perfetta: pancia, culo e petto) celebra le formosità del corpo femminile. E lo stereotipo della donna del Mezzogiorno prevede proprio capelli neri, statura piuttosto bassa, rotondità in bella evidenza. Letteralmente, un invito a nozze per i giovani della stessa area.
Un’altra considerazione. Il motore di questi proverbi è econo-mico, ma non solo: si sono diffusi a macchia d’olio e durano così a lungo perché assecondano i pregiudizi xenofobi che ogni società chiusa e conservatrice alimenta, sollecitata dalla ‘paura del diverso’, quella paura che ancora oggi – pur essendo ormai lontani dalla cultura contadina, e forti di esperienze migratorie imponenti – conosciamo molto bene.
Il proverbio da cui siamo partiti, insomma, porta all’estremo un pregiudizio che, sotto pelle – e spesso anche sopra – è tuttora presente nella nostra società. Non escludo che qualcuno, fra i nostri lettori che hanno fatto un matrimonio misto (nel senso annacquatissimo di ‘sposi provenienti da aree diverse d’Italia’, con particolare riferimento a Nord – Sud – isole) abbia ancora fatto esperienza, fra i parenti più stretti, di volti dubbiosi e di più o meno sottili manovre di scoraggiamento, ai tempi della pubblicizzazione di quell’evento.
Non so a quanti è successo. A me sì.