Dal Medioevo a Sgarbi Fémmene e ccrépe
Tènene una chépe
[Donne e capre
Hanno la stessa testa]
(Bari) di Alberto Sobrero
Bruno Maggio. China
Qualche lettore dirà: “Ancora un proverbio misogino? Ma ce ne sono tanti …”. È vero: di sentenze ironiche, sarcastiche, cattive, crudeli o infamanti contro le donne sono piene le raccolte di proverbi, di tutte le regioni d’Italia (ma credo che, se si contassero, si scoprirebbe che la distribuzione sul territorio nazionale non è omogenea: le più vergognose sono concentrate nelle aree di più radicata tradizione maschilista). Ma questo è particolarmente interessante, per il paragone, anzi per l’identificazione della donna con la capra.
L’accostamento non è solo trascinato dalla rima: ha un contenuto molto forte, che affonda le sue radici nelle tradizioni popolari di tutte le civiltà contadine d’Italia (e non solo).
La capra è da secoli l’animale per eccellenza ‘negativo’. Dobbiamo pensare alle ambientazioni dei racconti ‘di paura’, le storie terrificanti che si raccontavano nelle lunghe sere d’inverno, nelle stalle dove ci si radunava per godere del caldo animale, o d’estate nei campi, dove attorno al falò un gruppo di bambini ascoltava rapito la voce narrante di una vecchia che pareva conoscere tutti i segreti della vita normale e paranormale. Un’atmosfera di silenzio teso, di paura strisciante, di suspense centellinata da narratori bravissimi. Ebbene: in queste atmosfere ‘sospese’ il mistero prendeva spesso le forme di una strega, ovvero di una donna dotata di poteri malefici che le derivavano dai suoi rapporti col diavolo. E quasi sempre questo personaggio viveva separato dalla comunità, in una catapecchia, con la sola compagnia di una capra. La capra le ricordava (e spesso si identificava con) l’amico/amante: anzi, spiegava la vecchia saggia, le corna e gli zoccoli erano le tracce residue della trasformazione del diavolo in capra. Perché caratteristica del diavolo era la capacità di trasformarsi in un a-nimale: di solito, appunto, una capra, o un gatto. Insomma: strega, diavolo e capra, a partire almeno dal Medioevo, sono un unico gru-mo di perversione e malvagità.
Perché proprio la capra? Lo storico direbbe che la discriminazione risale addirittura al Vangelo, e citerebbe un passo di Matteo (25: 32-33) in cui si dice che Gesù, al momento del Giudizio, “separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra”. E ricorderebbe poi la caccia alle streghe (a partire dal XIV secolo) e la Controriforma (metà del XVI), avvenimenti epocali che fissarono, nell’immaginario collettivo ma anche negli atti processuali, l’equiparazione fra la capra e Satana. Equiparazione che fino all’Ottocento popolò di conseguenza il mondo delle leggende popolari. Fra gli animali da cortile la capra è l’unico ad avere zoccoli e corna, che l’iconografia popolare da sempre rappresentava come caratteri tipici del diavolo.
Si possono far valere anche motivazioni più genericamente psicologiche. La capra è il meno docile degli animali da cortile: ha verso l’uomo un atteggiamento quasi scostante, se non di sfida; in montagna si inerpica su pendii scoscesi che nessun altro riuscirebbe a scalare; manifesta una tensione verso la libertà e l’indipendenza che quasi mette in soggezione l’uomo.
La sfida all’uomo ‘dominatore’ e la tensione verso la libertà e l’indipendenza non sono forse anche le caratteristiche che il nostro ‘maschio alfa’ rimprovera alle donne, che tendono a sfuggire al suo controllo, amano la sfida, osano ribellarsi?
L’identificazione fra il nemico-capra e il nemico-donna (entrambi circondate da un alone sulfureo, anzi entrambe strettamente imparentate col Maligno) in una società rigidamente maschilista era dunque inevitabile. La donna si identifica con la capra; e poiché la capra si identifica con il demonio, per la proprietà transitiva la donna è un demonio. Il che, specialmente dalla Controriforma in poi, non è proprio un complimento.
Si noti che il disprezzo per le capre (e per le donne) non si è limitato ai proverbi, alla cultura popolare e ai secoli scorsi: scorre sottotraccia per i lunghi secoli che vanno dal medioevo sino ai giorni nostri. Nel duemila riaffiora, ad esempio, sulle labbra di uno showman come Vittorio Sgarbi, che sull’epiteto “Capra! Capra!! Capra!!!”, riferito a una donna ritenuta ignorante, ha basato il rilancio delle sue fortune televisive, tanto da arrivare, un giorno, sul palco, accompagnato da un simulacro di capra. Proverbio spettacolizzato. Ma niente di nuovo sotto il sole.