carezze de chene, amore de femmene, nvite d’oste.
Megghie fè se ne nt’accoste
[Tre cose costano caro:
carezze di cane, amore di donna, invito d’oste.
Meglio fai se non t’accosti]
(Gargano) di Alberto Sobrero
Bruno Maggio. China
È uno dei moltissimi proverbi del filone misogino, che tramanda lo stereotipo della donna come sentina di tutti i mali. Questa visione induce a vedere la bellezza femminile come uno strumento diabolico che la donna utilizza ‘con finalità seduttive’, cioè per indurre nell’uomo l’amore. E l’amore notoriamente toglie all’uomo il ben dell’intelletto e lo schiavizza per sempre, magari attraverso le terribili catene del matrimonio. Per questo motivo i piaceri e i sentimenti più belli che l’uomo conosca, la bellezza e l’amore, sono argomenti privilegiati – in negativo – di molti proverbi. Vediamo come è trattato in questo caso il tema dell’amore.
Il nostro appartiene alla categoria dei proverbi sentenziosi, nei quali è tipica la struttura a tre membri, o cola, introdotta da “Tre cose….” che vengono successivamente elencate. Di solito i tre membri sono disposti in scala, collocando al primo posto o lasciando all’ultimo – cioè nelle posizioni preminenti – quello che giustifica la massima. Due esempi salentini. In Amore de fimmana / onda de mare / sule de marzu nu tte fidare la volubilità che si vuol colpire è quella della donna, ed è collocata al primo posto; segue l’onda del mare – meno volubile della donna ma pur sempre mutevole, in modo incessante – e infine il sole di marzo, il meno volubile dei tre (l’onda del mare cambia sempre, il sole di marzo saltuariamente). In calando. Al contrario in Lu jove de nanti / lu mulu de retu / e lla fimmana de tutte le parti l’invadenza della donna, vero oggetto del proverbio, è al terzo posto, al punto più alto di un percorso in salita che prevede tre passi: i primi due limitati a ‘davanti’ e ‘dietro’, il terzo aperto a comprendere un intero giro d’orizzonte: ‘da tutte le parti’. In crescendo.
Nel nostro proverbio il vero oggetto di biasimo, l’amore delle donne, è invece al centro. Strano: il climax non occupa mai la parte centrale della narrazione. C’è un motivo? Molto probabilmente non bisogna cercarlo – come abbiamo fatto sin qui – sul piano dei contenuti, cioè nella disposizione in crescendo o in calando delle tre unità ma sul piano – fondamentale nei proverbi, e mai abbastanza considerato – della metrica. Fra il contenuto del messaggio e le sue forme retoriche, ritmiche e metriche c’è una misteriosa armonia, un incrocio di richiami e citazioni reciproche, una rispondenza governata da leggi che spesso sembrano combaciare con le leggi dell’aritmetica e della geometria (penso alla sezione aurea, alla successione di Fibonacci, alle serie di funzioni, a spirali e frattali…).
La poesia nasce proprio dall’intreccio fra armonie così diverse (altro che interdisciplinarità!), dalla rispondenza continua e intrecciata, da scambi e compensazioni fra i diversi piani dell’espressione, della forma e del contenuto. In questo il proverbio ha spesso anche il fascino della poesia: con il suo mix di figure retoriche, rime, motti sentenziosi, massime amare, sferzanti ironie.
Un esempio di questo incrocio e scambio di piani è proprio nel nostro testo, che alla rima “oste-accoste” sacrifica una regola di dislocazione dei cola (quella per cui il climax non si trova mai in centro). In altre parole, si rinuncia a una regola di organizzazione del testo per una regola metrica. Non basta: ci sono anche altre cesellature tematico-metriche, che compensano quella rinuncia. Eccone una.
Ognuno dei tre membri è formato da una coppia di parole unite dal ‘de’ (carezze de chene; amore de femmene; nvite d’oste); il primo elemento rappresenta l’esca che viene offerta all’uomo, povero grullo: e si tratta di attrattive ben accattivanti (carezze, amore, un invito). Il secondo elemento rappresenta l’amo nascosto dietro l’esca: il cane mordace, la donna ingannatrice, l’oste imbroglione. Tre inganni svelati, e il peggiore (quello dell’amore e della donna) quasi nascosto fra gli altri due, mimetizzato in mezzo ad altri ingannatori dall’aria innocua e anzi amichevole: il cane, l’oste. Il boccone avvelenato in un gustoso tramezzino. Ecco allora che la posizione centrale dell’“amore de femmena” assume, proprio in virtù di una soluzione metrica-contenutistica originale, un significato ulteriore: segnala la doppia pericolosità della donna, che è ingannatrice ma anche subdola, ben mimetizzata, travestita da creatura innocua, addirittura dolce come dolce è l’amore.
Incroci misteriosi – e misterici – di ritmi, di rime, di verità nascosta e di menzogna mascherata. Il mondo in tre versi, volendo.