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[Il vino buono non ha bisogno di frasca]
(Bari) di Alberto Sobrero
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Bruno Maggio. China
La frasca era, nella tradizione contadina, un rametto (di solito di alloro, o di palma), con tutte le sue foglie, che veniva appeso sulla porta di un’osteria di campagna, dove si vendeva e si serviva vino. Era, in pratica, un’insegna pubblicitaria: invitava a entrare e a consumare o comprare il vino. Il senso del proverbio è dunque intuitivo: se il vino è buono non ha bisogno di pubblicità.
Si pensa subito all’importanza del vino nell’alimentazione del mondo contadino (forniva le risorse energetiche di cui molti non disponevano, per le diffuse condizioni di povertà; assicurava uno dei pochi piaceri di cui si poteva disporre; concedeva qualche momento di oblio, alleviando le pene di vite sempre difficili), e si pensa a com’era diversa la vita in un mondo in cui il successo di un prodotto sul mercato era assicurato dal passa-parola, e il messaggio pubblicitario – quando c’era – era affidato a segni non elaborati, di immediata decodifica. Come, appunto, un ramoscello appeso alla porta.
Ma oggi vorrei richiamare l’attenzione del lettore su un altro aspetto, del quale non ci siamo mai occupati.
Questa rubrica è dedicata ai proverbi salentini e pugliesi. Questo è un proverbio pugliese, e se lo interroghiamo ci parla della civiltà e della cultura – in senso lato – di questa regione. Ma non è detto che l’area di diffusione di un proverbio sia limitata a una regione, a una provincia o a un’area ancora più ridotta: ci sono proverbi il cui areale (cioè l’area di diffusione) è più esteso: a volte arriva a ricoprire più regioni, a volte addirittura tutta l’Italia, e in qualche caso oltrepassa anche le Alpi: naturalmente esprimendosi in parlate diverse. Il nostro è uno di questi. Lo ritroviamo non solo nel Salento (Quandu lu vinu è bbonu, lu vindi puru senza frasca) ma in molte zone dell’Italia meridionale (ad esempio in Molise: Le vine vuone se vènne senza frasca), nell’Italia Centrale – Lazio, Toscana, Umbria – e settentrionale (Emilia: a Modena Al vein boun al n’ha bisegn ed frasca), Lombardia (ricordate I promessi sposi?), Veneto, Friuli (Al vin bon ne ghe serve frasca); e in altre aree di parlata neolatina (Spagna, Francia). Sembra che sia presente dovunque si usi – o si usasse – segnalare la presenza di una vineria con la frasca; e se è così, l’area è davvero estesa, perché ancora oggi se fate una rapida ricerca su Internet trovate, sparpagliate per tutta Italia, più di duecento rivendite di vino e liquori intestate La frasca, Frasche, Osteria la frasca ecc.
Naturalmente le varianti dialettali sono diverse, ma lo spirito è unico, perché unica, o molto simile, era – al tempo della diffusione del proverbio – la cultura materiale delle civiltà contadine di mare e di montagna, borboniche o savoiarde che fossero.
Questo per l’estensione nello spazio. Ma osservazioni analoghe si possono fare anche per l’estensione nel tempo. È vero che per la quasi totalità dei proverbi non siamo in grado di datarne l’origine, per l’ovvia ragione che la loro diffusione era orale e dunque si è cominciato a riportarli in forma scritta assai tardi, se non recentissimamente; ma in alcuni casi queste testimonianze ci sono, grazie a citazioni all’interno di massime, scritti moraleggianti, scritture esposte ecc.
Anche su questa dimensione temporale il nostro proverbio è privilegiato, perché la sua estensione è ben più ampia del ‘qui ed ora’: va oltre gli ultimi due-tre secoli a cui siamo abituati, per scavalcare un paio di millenni. I latini dicevano Laudato vino non opus est hedera o anche Vino vendibili suspensa hedera nihil opus. Appunto: “Un vino apprezzato non ha bisogno dell’edera”. Perché anche loro appendevano una frasca – a quanto pare, un tralcio di edera – sulla porta delle osterie in cui si beveva e si vendeva vino.
Insomma: anche i proverbi da una parte rispondono a schemi ben individuabili e caratterizzanti, dall’altra sono soggetti a tutta la variabilità – spaziale e temporale – propria della cultura dell’uomo. Sono la carne viva della sua storia.