La sita allu canistru
[Di San Francesco
La melagrana al canestro]
(Salento) di Alberto Sobrero
Bruno Maggio. China
Fa parte di un gruppo nutrito di proverbi ‘del calendario’, che collegano un giorno del calendario – di solito designato dal santo di quel giorno – con fasi e cadenze della vita dell’agricoltore. San Francesco ricorre il 4 ottobre, e ottobre è il mese in cui si raccolgono i frutti del melograno.
Questi proverbi sono frequenti, e riguardano vari campi della cultura popolare:
- Previsioni meteorologiche: ad esempio Te San Cataudu esse lu friddu e trase lu caudu (A San Cataldo – il 10 maggio - esce il freddo e entra il caldo), Ci chiòe te santa Bibbiana chiòe nu mese e na simana (Se piove a Santa Bibiana – il 2 dicembre – piove un mese e una settimana);
- Massime sul periodo di maturazione dei frutti: Te Sant’Anna e san Giuacchinu alle fiche se torce lu piticinu (A Sant’ Anna e San Gioachino – 26 luglio – ai fichi si piega il picciolo);
- Massime sui tempi della vinificazione: Te San Giseppu de Cupirtinu lu iancu intra alla utte e lu nìuru intra allu tino (A San Giuseppe di Copertino – il 18 settembre – il bianco nella botte e il nero nel tino), Te Santu Martinu tuttu lu mustu ddenta vinu (aA San Martino – l’11 novembre – tutto il mosto diventa vino)
- Consigli sulla cadenza dei lavori agricoli: Te tutti li santi sìmmina annanzi (Ad Ognissanti affrettati a seminare), ecc.
Sono proverbi diffusi sia in aree molto limitate (come quello che riguarda San Cataldo, limitato all’area di venerazione di quel Santo) sia in aree estese, sino al proverbio di Santa Bibbiana di diffusione nazionale.
Sono anche vari per il tipo di messaggio che veicolano: ci sono messaggi che prescrivono (quando seminare, quando attuare questa o quella fase della vinificazione), messaggi che descrivono (fasi di maturazione dei prodotti della terra), messaggi che prevedono (il tempo che farà).
Da una parte la scansione del tempo sui ritmi del calendario religioso, dall’altra la scansione dei ritmi di lavoro, perfettamente armonizzati con quelli della natura. È la testimonianza della coerenza interna e della compattezza di un mondo nel quale la pratica religiosa si innestava molto naturalmente nei ritmi della natura, e da questa adeguatezza riceveva forza, credibilità, potere.
Questo era il terreno dal quale nasceva e si sviluppava il grande albero del sapere popolare. Non c’è da stupirsi se di questa serie di proverbi i giovani, oggi, non ne conoscono praticamente nessuno, se sopravvivono solo come relitti della memoria galleggianti sul grande mare della dimenticanza.
Il calendario è ora ridotto a un diagramma di numeri e celle che si consulta sul computer (i Santi sono elencati solo nei calendari dei discount), i lavori dei campi riguardano una minoranza esigua della forza lavoro, sono governati da app dedicate e gestiti dalle multinazionali, le previsioni del tempo si fanno con i modelli matematici e le carte della Marina Americana, le prescrizioni le fa Sua Maestà il Mercato, le descrizioni non interessano nessuno: alla bisogna si ricorre a Google.
La grande alleanza fra pratica religiosa e pratica del lavoro è svaporata, il terreno di cultura si è inaridito, l’albero che vi era cresciuto – il grande albero della cultura popolare - è seccato.
Non è la fine del mondo, è la fine di un mondo. Semplicemente, panta rei, “tutto scorre”.