e llu maléte more
[Il medico studia
e il malato muore]
(Gargano) di Alberto Sobrero
Bruno Maggio. China
Per alcuni proverbi ci siamo soffermati sulla rima, sul metro, sulla versificazione, osservando che la maggior parte dei proverbi è costruita su schemi ricorrenti, rime e assonanze, proprio perché grazie a questi ‘trucchi’ i testi si fissano più facilmente nella memoria e possono essere tramandati di generazione in generazione. Procedimenti come questi erano necessari nei tempi in cui la scrittura era sconosciuta o era raro bene di pochi e il patrimonio culturale di un popolo si tramandava solo per via orale: accadeva per l’Iliade e per la Divina Commedia come per le arie più famose delle opere liriche, le canzoni popolari e, appunto, i proverbi.
Ma non tutti i proverbi rispettano questa regola. Ce ne sono alcuni in cui il messaggio non viene rivestito di artifici linguistici ma si presenta, per così dire, allo stato puro, come se sentisse di avere al suo interno una forza comunicativa che non ha bisogno di imbellettarsi per esprimersi.
Il nostro è uno di questi. Sarebbe una coppia di versi se non ci fosse di mezzo la congiunzione e, che allunga il secondo di una sillaba (ma la e non si può eliminare, perché indica che le due azioni sono contemporanee); non c’è rima; la metrica zoppica (l’accento cade per il primo verso sulla seconda e sulla quinta sillaba, per il secondo verso sulla quarta e sulla sesta). Dunque anche la nostra attenzione si deve indirizzare esclusivamente sui contenuti.
Come spesso accade, l’insegnamento che il proverbio vuole tramandare nasce da una contrapposizione fra due realtà, che mette a nudo un’incoerenza del sistema – sociale, culturale, magari politico. Qui le due realtà che entrano in conflitto sono: la realtà tragica della malattia che segue il suo corso sino alla morte (llu maléte more), e il comportamento del medico, che colpevolmente indugia in studi inutili (lu mideche studie). Primo insegnamento: nessuno riesce a violare le leggi della natura. Fatalismo, rassegnazione.
Ma non c’è solo questo. Qui l’inadeguatezza non è dell’uomo in generale: è specificamente del medico. E non si tratta di un medico che sbaglia diagnosi o cura: si tratta di un medico che studia. Dunque i bersagli sono due: la classe medica (alla quale i proverbi attribuiscono tutte le nefandezze: presunzione, superbia, avidità, incapacità ecc.) e lo studiare, cioè la scienza. Tra i due, quest’ultimo è il ‘bersaglio grosso’. La scienza.
Nella civiltà dei proverbi la scienza non è ancora entrata; anzi, è vista come l’anti-realtà, la violazione di un tabù. Il mondo dei proverbi è sostanzialmente un mondo intriso nel profondo di valori e credenze cristiane, anzi cattoliche, e tutti i principi della scienza sono avvertiti come pericolosi nemici della religione. Studiare è pericoloso: induce a riflettere, dubitare, indulgere al relativismo. Se si affermasse, metterebbe in crisi il principio di autorità, la fiducia cieca e assoluta in chi assicura di interpretare sempre la volontà di Dio, o addirittura la fede stessa nei principi della religione. Sarebbe il mondo dell’anti-Cristo.
Per questo sono così corrosive, se non virulente, le rappresentazioni negative del mondo dello studio e della scienza che troviamo nei detti e proverbi più diffusi (dal latino Studere, studere, post mortem quid valere? ai ben noti Val più un asino vivo che un dottore morto, Chi troppo studia matto diventa). È l’aspetto anti-scientifico della cultura popolare, una cultura che si regge sulle due gambe della religione e della superstizione e non può concepire un approccio empirico e critico alla realtà.
Attenzione. Questo componente della cultura popolare non si esaurisce nei proverbi, nelle filastrocche, nei motti e nei detti popolari. E infatti non muore con essi. Continua ad essere vitale persino nella società contemporanea, dove anzi mantiene – e spesso riconquista – posizioni su posizioni. Le testimonianze sono tante: basta pensare alla moda recente di contestare le vaccinazioni (con esiti drammatici: si torna a morire di morbillo, proprio ora che stava per essere dichiarato estinto), alla fortuna delle medicine ‘alternative’, quasi sempre farlocche, al fatturato-non-fatturato di maghi e fattucchiere, e persino alla contrazione nelle iscrizioni dei ragazzi a corsi di studio di materie scientifiche (con la conseguenza paradossale che mancano professori di matematica, di scienze, di fisica). A scuola è sempre più difficile insegnare precisione e proprietà di linguaggio, perché la fatica dello studio e il fascino del dubbio sono tenuti lontani come la peste, anche grazie ad Internet, che scodella le panzane più assurde come verità ‘alternative’.
La scienza come il demonio, insomma. Ieri, ma anche oggi. E domani?