Cosa è cambiato tra oggi e il passato Parola ditte
n-gìile sta scritte
[Parola detta
in cielo sta scritta]
(Area barese) di Alberto Sobrero
Bruno Maggio. China
Quale messaggio veicola questo proverbio? Dipende da chi e quando lo legge. Facciamo due casi.
a) Lo leggo io, uomo del XXI secolo, ormai abituato ad alzare gli occhi e vedere scie intrecciate di aerei in volo, che si sfrangiano e si disperdono in pochi minuti nel cielo, o – magari la domenica mattina, su una spiaggia affollata – piccoli aerei a elica che trainano striscioni con scritte beneauguranti o pubblicitarie. O addirittura un cuore disegnato con i fumi da un aereo piccolo e acrobatico: un attimo, i bambini fanno “oh” e il cuore si dissolve in cielo. Ecco, se questo proverbio lo leggo io colgo subito il messaggio che la mia cultura mi suggerisce: una parola solo detta è come se fosse scritta in cielo: si volatilizza subito. È sempre meglio mettere nero su bianco, piuttosto che fidarsi di promesse e di accordi fatti a parole. Lo dice anche la massima dei latini, che pure non conoscevano aerei acrobatici: “Verba volant, scripta manent”.
b) Lo legge un uomo del passato, diciamo del Settecento o dell’Ottocento: un uomo che vive in un clima culturale denso di valori simbolici che rinviano alla coesistenza di due mondi, quello tangibile e quello trascendente, il mondo profano e l’Aldilà. Se lo legge lui, coglie il messaggio che gli suggerisce la sua cultura, nella quale il cielo è la sede della divinità, la metà sacra del mondo: le parole salgono in cielo, e dunque una parola data – una promessa, un accordo verbale – è una parola sacra, non può essere trasgredita. Venir meno alla parola data è un atto sacrilego: nel commercio come negli affari di cuore.
Trattandosi di un proverbio che quasi certamente affonda le sue radici in un passato abbastanza remoto, l’interpretazione da accogliere è sicuramente la seconda. E il pensiero corre subito alla ‘gran bontà de’ cavalieri antiqui’, che ritenevano sacra la parola data, in nome di valori di profondo contenuto morale e sociale, come la lealtà e la fedeltà alla parola data sulla base di un semplice accordo verbale, magari sancito da una stretta di mano.
È vero: anche gli affari più importanti si concludevano con una stretta di mano, che aveva lo stesso valore di un solenne impegno scritto. Ancora oggi si conserva traccia di questa forma di contratto nello stesso codice civile vigente, sulla base del quale, ad esempio, la Camera di Commercio di Roma ha annoverato fra gli “usi considerati ancora clausole contrattuali nella provincia di Roma” la stretta di mano “in occasione delle contrattazioni verbali, in fiera o altrove, relative a compravendita di animali o di merci agricole”. E molti di noi ricordano le fiere di paese e i mercati (di bestiame, di cereali ecc.) in cui le discussioni fra venditore e acquirente si concludevano con una semplice, vigorosa stretta di mano. Altri tempi. La parola data saliva nell’empireo dei valori assoluti: come si dice oggi, non negoziabili.
È tutto vero, ma con una postilla.
La prospettiva da cui noi guardiamo il passato in molti casi – e il nostro è fra questi – è viziata da due errori: il complesso di superiorità e l’angolazione tardo-romantica. Da una parte guardiamo con indulgenza (e commiseriamo) i comportamenti di chi non dispone delle risorse di noi ‘moderni’: gli strumenti giuridici sofisticati, i meccanismi di controllo, la diffusione dell’alfabetismo e della cultura giuridica. Noi siamo migliori dei nostri nonni e bisnonni. Il progresso garantisce le magnifiche sorti progressive ecc. Dall’altra proiettiamo in un passato mitico una nostra visione romantica di un’età dell’oro, in cui gli uomini erano forti e leali, i sentimenti semplici e puri: un’età tutta da rimpiangere.
La realtà, come invece sappiamo, era ben più complessa: slealtà, tradimenti, violenze erano purtroppo ben presenti allora come adesso (e spesso in forme anche più crudeli). E gli accordi erano verbali, banalmente, perché la gente non sapeva né leggere né scrivere.
E tuttavia è sempre bello, e utile, avere nella nostra vita quotidiana un ideale, un sogno. Magari un’illusione. Magari proiettata in un mondo fittizio, di nostra invenzione.