Ognuno pensi per sé Uè e delàure
Ognedàune se chiènge le saue
[Guai e dolori
Ognuno si pianga i suoi]
(Puglia settentrionale) di Alberto Sobrero
Bruno Maggio. China
Lo scenario è quello doloroso ed eterno dei mille guai che tormentano la vita quotidiana. Se prendiamo in considerazione il quadro complessivo dei proverbi orientati su questo tema, vediamo che in quasi tutti la struttura si sorregge su tre pilastri:
a) la constatazione/descrizione: i guai sono tanti, frequenti e gravi, e sono un problema universale;
b) la diagnosi: sono ineluttabili, perché rispondono a una sorta di disegno divino, per noi imperscrutabile (o, in altra prospettiva, perché fanno parte del destino di noi mortali, a cui non possiamo sfuggire);
c) la terapia: si risolve quasi sempre nella massima della sopportazione; l’uomo non può modificare i disegni divini, né cambiare un destino stabilito una volta per tutte dal fato, dunque non può che rassegnarsi ed accettare i dolori che la vita gli riserva.
Nella cultura popolare i proverbi sono lo strumento principale, se non l’unico, per diffondere, oltre alla descrizione, la diagnosi e la terapia per i guai della vita quotidiana. Per raggiungere questo scopo, rafforzano l’efficacia del loro messaggio in vari modi, ad esempio ancorando la massima della sopportazione alle strutture portanti della filosofia di vita che essi esprimono: i due pilastri fondamentali dell’etica e dell’estetica.
Etica. Nel proverbio “Uè e delàure / ognedàune se chiènge le saue” la massima della sopportazione s’incrocia e si fonde con l’etica dell’egoismo. Ogni uomo è un’isola separata dalle altre isole, con le quali il suo mondo non comunica; io bado ai miei dolori e alle mie disgrazie, tu badi ai tuoi. Ognuno pensa per sé. L’etica dell’egoismo, in proverbi come questo, si basa sull’esistenza di pochissimi vincoli reciproci tra gli uomini, e fra questi non è compresa alcuna forma di solidarietà. Io non scarico le mie pene su di te, e non mi faccio carico delle tue. Io mi piango i miei morti, tu i tuoi. Il comportamento che si predica qui è tutto compreso nell’esortazione a non cercare né comprensione né consolazione negli altri. Siamo nel filone disincantato di una visione pessimistica della vita e della società, una visione che nasce dalla fatica del vivere e che non conosce la luce della solidarietà, della compassione, della carità. La sua origine? Può risalire a una società pre-cristiana, ma può anche, banalmente, nascere dalla perdita di fiducia in realtà migliori e trascendentali, di cui l’uomo della strada, dopo secoli di speranze e illusioni, non ha mai visto una traccia concreta.
Estetica. Rientrano in quest’ottica, che potremmo dire materialista, anche molti proverbi che esaltano e rimpiangono piaceri tutti terreni. Nella stessa area pugliese troviamo un proverbio disincantato come il primo: “Pile e uè / ne ménghene mè” (Peli e guai / non mancano mai). Nel primo verso c’è la descrizione, questa volta prevalentemente estetica: i peli in eccesso sono presenze sgradite, in particolare per le donne e gli anziani (che fra l’altro sono i maggiori ‘consumatori’ di proverbi). Nel secondo c’è la diagnosi: le disgrazie – estetiche e della vita – sono realtà ineluttabili. Anche qui la terapia – questa volta implicita – scaturisce direttamente dalla descrizione e dalla diagnosi: l’uomo non si stupisce neppure della disgrazie che gli accadono, perché questa è la legge della vita quotidiana. È la massima della sopportazione, questa volta in chiave estetica. Bisogna sopportare i peli in eccesso, come gli altri guai della vita.
Non si tratta solo di questi due proverbi: ce n’è un intero filone che illustra questa filosofia di vita pessimistica, rassegnata, senza luce. E senza bellezza. Sono i proverbi collocati a bacìo dell’aspro paesaggio della vita, e sono quelli che diffondono un senso di buio e di gelo.
Ma la saggezza popolare non è tutta qui. Vedremo che, per fortuna, c’è anche un altro filone, ed è quello dei proverbi posti a solatìo, che diffondono messaggi ben diversi, di luce e di calore. Di solidarietà, di fiducia, di speranza.