che condanna per gli uomini! U prim’anne ’nzerate
O malate o ’ngarciarate
[Il primo anno di matrimonio
O sei malato o carcerato]
(Puglia settentrionale) di Alberto Sobrero
Bruno Maggio. China
È una variante del proverbio che abbiamo commentato precedentemente. Là si elencavano le “quattro bandiere” che la donna issa trionfalmente nella sua guerra contro l’uomo: il carcere, la malattia, la forca, la galera. Qui si vedono gli effetti della sconfitta subita dall’uomo: e sono, appunto, la malattia e il carcere. Si ribadisce, insomma, lo stesso concetto, aggiungendovi un’aggravante: l’uomo inizia a scontare la sua condanna fin dal primo anno, cioè subito dopo il fatidico ‘sì’. Su questo tema ci sono decine, forse centinaia, di varianti nel patrimonio proverbiale delle nostre campagne, e vanno tutte nella stessa direzione: il matrimonio per l’uomo è una condanna a morte (o a vita …). L’obiettivo non è il matrimonio, ma la donna: nel nostro caso, ad esempio, si noterà che il verbo usato per ‘sposarsi’ è ’nzerare (o, a seconda delle aree, ’nzurare o ’nzërarë), verbo che in dialetto si riferisce solo all’uomo che si sposa; per la donna si direbbe maritarsi. E dei due protagonisti, in questo come negli altri detti proverbiali, chi soccombe non è chi si marita ma chi si ’nzura.
Perché i proverbi – che sono, non dimentichiamo, la legge non scritta ma indiscutibile e indiscussa del mondo pre-industriale – insistono tanto su questo tema, con questa unica e costante prospettiva? Evidentemente perché questo è un caposaldo, un fondamento della vita associata, da tramandare di generazione in generazione. Come la cura per gli animali o le ricette della nonna.
A giudicare dalla ricchezza dei proverbi, il rapporto di potere fra i sessi ha la stessa rilevanza culturale del rapporto fra servo e padrone, o fra l’uomo e i suoi animali domestici. Eppure il tema ‘donna’ ha un trattamento speciale: si mettono in guardia i giovani contro lo strapotere delle donne, con una costanza, una veemenza, una cattiveria che non si ritrovano in nessuno dei grandi temi negativi della saggezza popolare, come l’avarizia, il tradimento, l’inganno, l’usura, e persino la guerra.
Se ne ricava l’impressione che uomo e donna siano stretti da un legame ambivalente, tanto forte quanto contraddittorio. Da una parte c’è l’istinto dell’accoppiamento e della procreazione, incanalato e benedetto dal vincolo del matrimonio, autentico tabù della cultura popolare; dall’altra c’è l’ossessione del confronto con una persona ‘altra’, tutto sommato poco e mal conosciuta. La donna in quanto tale, per lunga tradizione misogina, è infatti terra incognita: un po’ creatura inferiore da tenere sottomessa e obbediente, un po’ creatura superiore, astuta stratega che sa comandare con la dolcezza e governare senza parere: arti ignote al maschio.
Di fronte a un nemico così indecifrabile, tattica e strategia vacillano: la donna è bellezza e perdizione, paradiso e inferno, angelo e demone. E nell’uomo suscita lo sconcerto tipico di chi teme l’altro-da-sé, che non conosce, che percepisce come estraneo e perciò nemico: un ‘altro’ forte e misterioso, affascinante e temibile, miraggio e incubo. È la stessa reazione che, di fronte allo stesso problema, ha avuto – e per molti versi ha ancora – la nostra religione, nella quale convivono la donna-angelo e la donna-dannazione, che tenta l’uomo e lo induce a peccare. Fu una visione fantastica quella della donna come scala-al-fattore, che gli stilnovisti vedevano più vicina a Dio che all’uomo, ma riguardò pochi intellettuali e durò come un soffio; quella che rimase, nella cultura religiosa popolare, fu la visione opposta della creatura demoniaca, lasciva e tentatrice, strega ammaliatrice e maledetta.
Anche per i nostri proverbi – o almeno per la maggior parte di essi – la donna è portatrice di piacere ma soprattutto di lutti e sofferenze: concrete, perché siamo nel mondo reale della vita terrena, ma atroci. Concede la sua grazia e la sua bellezza, ma te le lascia godere per pochi giorni (forse): fin dai primi mesi di matrimonio soffrirai gli effetti dei suoi malefici, le malattie, il carcere.
Meglio diffidare. Sotto quelle sembianze leggiadre si nasconde il diavolo in persona. Su questo, cultura laica (popolare) e cattolica (tradizionale) vanno proprio a braccetto: in paradiso con le donne, all’inferno con le donne.