lu rre, lu papa, e cci nu ttene gnenti
[Tre sono i potenti / il re, il papa, e chi non ha niente]
(Salento) di Alberto Sobrero
Bruno Maggio. China
Protagonista di questo proverbio è il numero tre. Fra le tante curiosità che riguardano la struttura dei proverbi l’importanza di questo numero è una delle più intriganti. Nicola de Donno ha dedicato un bel libretto a Il numero tre nell’immaginario popolare di Terra d’Otranto (Congedo editore): vi sono elencati ben 516 proverbi ‘ternari’, nei quali il contenuto è sempre distribuito su tre fatti, o tre oggetti, o tre condizioni.
Il numero tre, come sappiamo, sia nelle culture classiche che nelle culture ‘altre’ ha un ruolo particolare: dà la chiave d’accesso per capire le leggi armoniche dell’universo, e ha un valore altamente simbolico, come pietra angolare dell’ordinamento cosmico. In molte religioni è un archetipo del divino: tre sono le Grazie, le Parche, le Gorgoni, le Erinni, tre sono le persone divine della Trimurti (Brahma, Shiva, Vishnù), tre le persone della Santissima Trinità, ecc.
Ma il numero tre non porta con sé solo quest’aura misterico-religiosa: nel tempo, ha dato luogo a strutture ritmiche pressoché universali, che hanno governato e ancora governano la musica, i versi, i frammenti e le poesie tramandate a voce nei lunghi secoli della cultura orale.
I proverbi sono l’ultima testimonianza ancora viva di quella cultura millenaria di tradizione orale: nulla di strano, dunque, se nella loro struttura è così presente la ‘magia del tre’. E non solo nella metrica e nel ritmo: anche nella disposizione dei contenuti.
Osserviamo da vicino com’è fatto il nostro proverbio ternario. Comincia con un’enunciazione del tutto ovvia: il re è potente. Prosegue con un’altra altrettanto ovvia: anche il papa è potente. Il terzo elemento è inatteso, e spariglia le carte, introducendo una terza figura di potente, che solo con l’aiuto di un buon numero di figure retoriche (il paradosso, l’antitesi, l’ossimoro) si può accostare alle prime due: chi non possiede nulla è potente. Il capovolgimento del senso comune è totale: il vero potente è il povero. Il cuore del messaggio arriva alla fine, nell’ultimo dei tre elementi.
Il gioco è sottile, e stilisticamente raffinato. Mentre il primo elemento riguarda una realtà indiscussa (il re è potente), il secondo può avere una doppia interpretazione: a proposito del papa, ci si riferisce al potere spirituale o a quello temporale? La lettura ‘politicamente corretta’ porta al primo significato, quella più maliziosa – ma forse più probabile – al secondo. Il terzo elemento, di rottura, va molto più avanti su questa strada, arrivando decisamente alla coesistenza di due interpretazioni. In che senso, e perché, il povero è potente? In almeno due sensi diversi: è potente perché è libero dalle tentazioni della ricchezza e della mondanità, e perché si sa accontentare e sa godere delle piccole gioie che la natura gli concede (lettura religiosa); perché è in armonia con il creato e, conoscendo bene le regole e i ritmi della natura, può essere un uomo libero, intimamente superiore a chi gli dà ordini (lettura laica). Il primo senso è allineato con la cultura dominante, il secondo è lo sberleffo irridente del debole soggiogato ma intimamente libero.
La magia del numero tre, in questo caso, fa da impalcatura a una piccola opera d’arte. Perché i proverbi meglio riusciti, proprio come i capolavori letterari, non si offrono mai a una sola lettura, univoca e indiscutibile, ma offrono livelli diversi di lettura, mantengono sfumature di significato ‘aperto’. Che non vuol dire incerto, o ambiguo. Semplicemente, riflettono la complessità e la difficile interpretabilità del mondo. È questa la loro ricchezza. La loro eleganza. La loro bellezza. Una triade di virtù.