ca menge che méiche
[Porta con te / e mangerai con me]
(Area barese) di Alberto Sobrero
Bruno Maggio. China
Addò méngene le daue
méngene le tre
[Dove mangiano i due / mangiano i tre]
(Puglia settentrionale)
È la celebrazione di un mito, credo, universale: la spontanea generosità d’animo del popolo. Un tema che richiama subito alla mente concetti di solidarietà, mutuo soccorso, “aggiungi un posto a tavola”, il musical trasteverino. La mensa è povera ma il cuore grande. Il messaggio è consolatorio, e positivo. Nella società della sopravvivenza la scarsità delle risorse alimentari a disposizione della famiglia da condizionamento negativo della vita si trasforma in risorsa positiva: basta capovolgere il punto d’osservazione. Se un invito al desco famigliare non è un evento mondano – come nella società opulenta – ma la caritatevole soddisfazione di un bisogno vitale, l’ospite si accontenta di un tozzo di pane, o di un piatto di verdura, la generosità si può manifestare appieno e la vita sociale si illumina.
Una ventata di ottimismo che addolcisce la visione del mondo dei proverbi antichi, nei quali prevale troppo spesso la rassegnazione e il pessimismo.
Ma i proverbi sono ancorati alla realtà, e la realtà non è solo rosa. Anzi. È a volte bianca a volte nera, a volte nello stesso tempo sia bianca che nera. È contraddittoria, è tesi e antitesi, inferno e paradiso (Monti e Berlusconi, Zapatero e Rajoy). Così sono anche i proverbi: alcuni sanciscono come legge universale un certo comportamento, altri il comportamento opposto. Non sono in contraddizione, loro: lo è la nostra vita, siamo noi, che affrontiamo le stesse difficoltà con approcci diversi, persino opposti, a seconda della nostra visione della vita, ma anche della nostra convenienza, e persino del nostro umore (il bicchiere che di volta in volta è mezzo pieno o mezzo vuoto).
Ecco dunque, nella stessa area, un proverbio molto meno giulebboso, anzi disincantato sino al limite del cinismo:
Ennusce che téiche
ca menge che méiche
[Porta con te / e mangerai con me].
Fotografa un’umanità diversa, intrisa di egoismo, falsamente conviviale: io ti invito, mangiamo pure insieme, ma ennusce (dal latino inducere ‘portare’) che teiche “porta qualcosa con te”. Mentre il proverbio precedente faceva pensare a porte aperte e a sorrisi di benvenuto, questo rimanda a porte chiuse con robusti chiavistelli, a sorrisi tirati e un po’ falsi, e in generale all’avarizia, alla chiusura e alla diffidenza verso l’altro. Il negativo della fotografia precedente.
I pugliesi, allora, sono del tipo a (generosi) o del tipo b (avari e diffidenti)? La domanda è posta male, perché quella che si tratteggia nei proverbi è nello stesso tempo una società particolare, di un certo paese, e la società in generale, con tutte le sue contraddizioni. Coppie di proverbi simili, o in contrasto stridente, ricorrono in tutte le culture, a conferma del fatto che descrivono realtà pressoché universali. Per fare un esempio, all’estremo opposto della penisola italiana, nell’Alessandrino, c’è un proverbio che fa il paio con quello barese ed è persino più cinico nell’estremo dell’indifferenza sociale. Infatti recita: Vig-ti cul fimarò, là l’è cà meia / Se-t vori mangè e beivi, va a l-ustereia (Vedi quel comignolo, là è casa mia / Se vuoi mangiare e bere, va all’osteria).
Un sovrappiù di stereotipo negativo per il piemontese: ma la non-ospitalità è la stessa, e la stessa è l’umanità double face.