"Ritratto salentino". Opera in terracotta di Bruno Maggio. Foto di Oronzo Fari
Una volta si diceva che i proverbi sono la saggezza del popolo. Erano i tempi in cui con un proverbio si poneva fine a una lunga discussione, con i proverbi si spiegavano ai figli le regole della vita, con i proverbi si dava e si accettava una spiegazione a fatti – naturali e soprannaturali – di per sé incomprensibili. E chi parlava “per proverbi” era ritenuto persona saggia ed equilibrata. Insomma, il proverbio era un pilastro del vivere sociale, una specie di “raccolta di leggi” autorevoli e condivise.
Oggi non è più così. I nostri ragazzi non conoscono più i proverbi: la loro generazione li ha rifiutati, come testimonianza di una civiltà che essi vogliono abbandonare definitivamente, considerandola arcaica, primitiva. La domanda che viene spontanea è dunque: perdendo i proverbi, il popolo ha perso anche la saggezza? Se vogliamo essere generosi – e politicamente corretti, quanto a linguaggio – diciamo che oggi il popolo è “diversamente saggio”. Perdendo i proverbi, le massime, i wellerismi, gli apologhi – e perdendo la fiducia cieca nella religione, altra fonte normativa profonda – ha perso la bussola che lo guidava nel percorso accidentato della vita: ora è alla ricerca faticosa di una bussola nuova, per il mondo di oggi, che è radicalmente diverso da quello di ieri e sideralmente lontano da quello dei secoli precedenti. Noi viviamo proprio in questa fase di passaggio fra un mondo che non c’è più, ma che aveva nei proverbi – e nella religione – un sistema collaudato di autoregolazione, e un mondo nuovo, per molti versi attraente ma ancora misterioso e ancora pressoché sprovvisto di regole. O meglio, ricco di regole formali (leggi, regolamenti, disposizioni di vario tipo) che però non sono penetrate nel corpo sociale così a fondo come le “perle di saggezza” della tradizione dei padri e dei nonni.
Se ci fermiamo a guardare indietro nel tempo, scavando nella memoria alla ricerca della “civiltà dei proverbi” non rispondiamo solo al bisogno di recuperare le radici della nostra comunità, ma soddisfacciamo una necessità esistenziale, quella di sentire la continuità fra passato e futuro, per carpire i segreti del rapporto fra regole, etica, ragione e civiltà che abbiamo smarrito. Magari, per trovare spunti e ispirazione per una nuova etica. Di cui sentiamo tutti un gran bisogno.
Per questi motivi punteremo la nostra attenzione, in questa rubrica, sui proverbi più diffusi in Puglia, e li considereremo come spie del mondo interiore delle genti pugliesi. Potremo così ricostruire frammenti significativi della filosofia di vita di un popolo: dei suoi sistemi di valori, della sua morale, dell’orizzonte sociale, economico, civile entro il quale si è svolta per secoli e secoli la sua vita quotidiana, del suo modo di affrontare e risolvere tanto i piccoli problemi di tutti i giorni quanto i grandi problemi esistenziali. In altre parole, di tutto ciò che non ci dicono i libri di storia. Se vogliamo conoscere davvero la Puglia, e se sapremo leggere fra le righe, avremo più informazioni dalla riflessione sui proverbi di genti analfabete che dalla lettura di ponderosi trattati su battaglie, su storie di casate, o su vicende di storia sociale o economica.
Ogni proverbio ci dà molte informazioni, dirette o indirette, su tre livelli fondamentali:
- il contenuto, o il fine: a volte morale, a volte scherzoso, a volte giocoso, a volte mordace
- la società in cui è nato e si è diffuso: gli uomini, le donne, l’ambiente, i rapporti sociali, i valori, i problemi, gli stereotipi, le speranze
- la lingua, o meglio il dialetto in cui è espresso, e la struttura metrica in cui è organizzato (spesso si tratta di versi rimati, che si succedono secondo schemi vari).
In ogni nuova edizione della rubrica commenteremo un proverbio utilizzando, di norma, queste chiavi di lettura e sarà poi fondamentale l’interazione con il pubblico dei lettori. Ogni proverbio è conosciuto in un’area più o meno estesa, in varianti a volte numerosissime, e spesso molto diverse, non solo per suoni o parole ma persino per significato. Nessuno conosce l’estensione territoriale e le possibilità di variazione di ogni proverbio. Con l’aiuto dei nostri lettori dell’una e dell’altra sponda dell’Atlantico potremmo raccogliere dati importanti e sconosciuti, e nella migliore delle ipotesi, mettendo insieme tante testimonianze, potremmo arrivare a organizzare, col tempo, un tesoretto dei proverbi pugliesi ricco di annotazioni sull’estensione, i significati, le varianti, la lingua ecc. Un dizionario ma anche un atlante, o una piccola banca dati da interrogare quando vorremo riprendere i contatti col mondo dimenticato dei nostri nonni e dei nostri antenati.