Porto Selvaggio e Palude del Capitano
Un tuffo nella bellezza Tesori archeologici e paleontologici, piante rare, bellissime torri costiere ma soprattutto panorami mozzafiato rendono il Parco di Porto Selvaggio uno dei luoghi più affascinanti di Puglia di Emanuela Rossi, Salvatore Inguscio
Porto Selvaggio (Nardò, Lecce). Foto Archivio Avanguardie
Si potrebbe parlare di Porto Selvaggio descrivendo l’area fisica che porta questo nome, dominata da una costa rocciosa che è a tratti alta sul mare, a tratti bassa e ricca di insenature, dove la vegetazione naturale, la gariga, la macchia e gli endemismi botanici si alternano alla pineta, introdotta a metà del secolo scorso.
Si potrebbe anche porre l’accento sui suoi preziosi reperti archeologici e sulle scoperte che ne sono conseguite, come il passaggio dall’arte preistorica figurativa a quella astratta (documentata con reperti riferibili a 12.000 anni fa), la presenza di una cultura paleolitica originale, denominata Uluzziana (caratterizzata dall’uso di piccoli strumenti in calcare a forma di semiluna e collane di conchiglie forate) e l’anticipazione del periodo, da 35.000 a 45.000 anni fa, in cui l’Homo sapiens sapiens fossilis sarebbe vissuto in Puglia.
Si potrebbe poi rilevare la preziosa testimonianza paleontologica che fossili di pesci e di ossa di mammiferi rappresentano nel panorama italiano, dove poche altre aree hanno conservato “tesori” altrettanto significativi.
Ma al di là di tutti questi tesori vogliamo raccontarvi quanto sia emozionante, coinvolgente, intrigante lasciarsi avvolgere dall’ombra e dalla frescura di Porto Selvaggio, così come lasciarsi rapire dai caldi raggi del sole che occhieggiano tra i pini e colorano in modo speciale il mare di questo angolo di Salento. La sua bellezza sta proprio nella ricchezza che ospita, nella varietà degli scorci, nella luce cangiante che aleggia tra torri e masserie, furnieddhri e specchie, fragni e cipressi, inondando gli spazi aperti e rischiarando quelli chiusi dai rami dei pini d’Aleppo.
A Porto Selvaggio potete arrivare da Santa Caterina, imboccando una strada che si chiude in faccia al mare, su una piccola piazzetta chiamata “la rotonda” (anche se nessun cartello la onora con il suo nome). C’è una salita che punta alla Torre di Santa Maria dell’Alto (“Torre dell’Alto” è il nome con cui è più facile sentirla chiamare) oppure potete salire la scalinata in pietra che vi condurrà al primo belvedere, quello che si affaccia sulla baia di Porto Selvaggio, abbracciando anche il golfo di Taranto e regalando, nelle migliori giornate di tramontana, stupefacenti scorci sui monti della Calabria.
Per arrivare direttamente al mare, fresco per le sorgenti costiere che lo attraversano, si può anche parcheggiare sulla strada Cucchiara, che da Santa Caterina alta procede verso Sant’Isidoro, e poi scendere lungo l’ampio viale tagliafuoco che si apre pochi passi dopo l’ingresso del parco denominato “Villa Tafuri”. Verso la fine di questa discesa si deve svoltare a sinistra, entrando nel bosco, e seguire un percorso parallelo al letto asciutto dell’antico fiume che ha inciso la roccia e creato l’insenatura che oggi possiamo ammirare.
Ma Porto Selvaggio è raggiungibile anche attraverso un bellissimo percorso di trekking che parte da Uluzzo, cala aperta sullo Jonio, un poco più a nord. Costeggiando il profilo della costa e seguendo le evidenti piste che milioni di camminatori hanno già percorso, si raggiunge prima la piana della Lea, ampio spazio in via di naturalizzazione dopo un passato agricolo, e poi la baia, su cui campeggia la Torre di Santa Maria dell’Alto.
Se vi piace la bicicletta, quella con rapporti e marce, potete avventurarvi fino al mare scendendo dal cancello di Torre Uluzzo. Senza svoltare mai vi troverete di fronte al mare in un battibaleno. Per la salita armatevi di pazienza e riducete i rapporti!
Ma Porto Selvaggio è anche un parco che va oltre il piccolo fiordo usato nel passato come scalo di fortuna, oltre la Lea, oltre Uluzzo. Il parco prosegue e ingloba, dal 2006, quella che, ispirandoci a Tolkien, noi chiamiamo “Terra di mezzo”, l’area compresa tra Torre Uluzzo e Torre Inserraglio, ricca tra l’altro, in primavera, di bellissime fioriture di orchidee selvatiche. Da Torre Inserraglio partiva l’Area Marina Protetta di Porto Cesareo, ma il magnifico tratto di costa tra le due aree protette ha rischiato di scomparire per far posto ad un porto turistico. Pericolo fortunatamente sventato da quando anche quest’area è parte integrante del parco.
La presenza delle orchidee caratterizza anche la Palude del Capitano. A ridosso della maggiore delle due spiaggette del parco, “il Frascone”, si incontrano numerose doline di crollo, grotte che nel tempo, a causa del fenomeno carsico, hanno visto crollare la loro volta e sono diventate laghetti a cielo aperto. Il crollo ha portato alla luce l’acqua di falda che scorre copiosa nel sottosuolo salentino ed è diventata occasione di sosta e incontro per l’avifauna migratoria.
Le spundurate – questo è il nome dialettale delle doline di crollo a Nardò – sono la sorpresa finale che il parco regala a chi lo ha attraversato tutto, risalendo i suoi paesaggi da sud verso nord. Circondate da una vasta prateria di salicornia, a sua volta coronata da una macchia bassa e da una bella distesa di scogli, stupiscono per l’eccezione che rappresentano. In una terra nota per la sua arsura, dove il carsismo si sviluppa appieno sia in superficie che nel sottosuolo, dove l’acqua dolce è quella fredda che sgorga dalle sorgenti-foci lungo la costa e il resto è mare, potersi riflettere in uno specchio d’acqua non salata è quasi un lusso. Aggiungiamo che anche qui, come in tutto il Parco di Porto Selvaggio, la bellezza regna sovrana. E la bellezza è il più bel dono che possiamo farci.
DOVE: Nardò (LE)
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